Oggi, riportiamo sul nostro blog una Poesia di Gabriel Impaglione
Argentina -1958- Risiede in Italia
Trittico critico
I
In mezzo a quale impasto porpora di lacerati nervi
rimase prigioniera la giusta parola, il compresso gesto
frantumato, l’intenzione d’ala del dolore più intimo?
In qualunque ronda attorno al morto
i denti rosicchiano lo stesso silenzio
si sciolgono uguali certezze, scavano
nelle stesse ombre per identiche risposte.
Già non sta nel dolore un solo morto!
La più grande verità e’ fogliame
sotto i piedi dell’orfano
sul palmo di terra bruciata
Davanti alla compulsiva morte di corpo presente
si odora ancora il fischio del fosforo
le parole che giungono dal fondo della giustizia
cascano spente, si fanno polvere
cenere d’umanità, latrati alla luna.
Cosa facciamo con le mani urlanti senza la pietra?
Dove mettiamo la ragione dell’occhio
attraversato dalla scheggia della morte?
II
Noi
Vivo in una casa che ha finestre ad ogni orizzonte
del mondo.
Esco da una porta che mi fa arrivare a qualche fiume,
a tutti i monti e porti, a ogni vicolo buio,
do un passo e sbocco sotto una sparatoria,
sotto densa pioggia di frammentati corpi
all’ora del bombardamento.
La pallottola che burla ogni ragione di vita
fischia sulla mia testa,
la bomba che carica tutta l’insonnia della cupidigia
perfora l’aria, infiammerà la rotta dei passeri
prima di scoppiare tra gl’ interstizi
delle mele offerte tra un mercato e l’altro.
Dalle finestre della mia casa vedo un corteo di vedove
graffiare il tempo, sfilare le ore, tirare
disperatamente dalla punta del gomitolo del secolo
per regredirlo.
Dove mettiamo tanta morte?
Come capisce il cane che lecca la mano
del padrone
che tutta la sua disgrazia gli stringe il collo?
Che in nome delle virtù che nessuno conosce
i virtuosi finiscono il mondo?
Si moltiplicano i paesi fantasma, le carovane
di superstiti cuciono la mappa con la fuga.
La fame divora un brodo umano e ingrassa
con la stessa impunità
con la quale altri scatenano le artiglierie.
III
Loro
Non é di cattivo gusto parlare di certe cose.
Non mi scuserò davanti al gentile tavolo
delle illustri signorie:
sulle strutture di ossa bruciate
sui ciuffi di capello e brandelli carbonizzati
succedono i vostri pranzi.
Mentre in amabile dopo pranzo cibate le riserve
di indici ed eufemismi, di magiche
formule infallibili
fuori nel marciapiede un bambino allunga la mano
incallita.
Dove mettiamo tanta infamia?
Cresceranno i bordi, cavalieri, furiosamente
si riempiranno le strade di scalzi
e voi conterete i vostri giorni nella cima fino a che un vento
con tutti i rossi delle amputazioni
e gli scoppi
faccia giustizia.
—
Che cosa il vento quieto sul segnavento
Che cosa il vento quieto sul segnavento
l’aurora perduta nell’angolo buio
una parola
che si ritorse nelle mani.
Il silenzio conficca sulle spalle
il suo filo di giaccio
e ride in salita
la strada che scende con tutti i suoi morti.
La, nella cima, c’è una guerra.
Violente fumate viole.
Non è giorni né notte, è guerra.
Nella dolce pianura eleganti scrivani
perseguitano farfalle con le sue piume
di cacciare metafora.
D’ ammazzare metafora.
—
Amo quello che in te
Amo quello che in te
ancora non nasce
quello che si annuncia
nella radice del bacio
nel dondolare di luce
della tua bocca nel giorno.
Amo il quieto silenzio
della mano che traccia
un sentiero profondo
nella notte /che tacce/ zittita.
Quello che stabilisce
la tua nudità di schiuma
la tua marea infinita
la nostra piccola morte.
—
Testimonianze
Quello che nella notte accade:
fuochi addormentati che si svegliano
nei lampeggianti occhi delle bestie,
traversie di fantasmi
che agitano l’ abbaiare e le serrande,
le piccole creature della rugiada,
scritture dell’amore sull’ora,
distanze impilate nel bordo d’ altri mondi,
parole perdute che trovano casa,
gli orfani del cielo nella propria malinconia
tutto
raccontano i passeri all’alba.
—
Ed io che ti amo in questo piccolo paese della mia ombra
Ed io che ti amo in questo piccolo paese della mia ombra
e a tutti i venti dico il tuo sorriso
per sentire la voce della pioggia sulle ciliege
dico le tue labbra
per sconfiggere la sete o il governo
della malinconia
a volte taccio con un silenzio di cenere di poema
taccio il tuo nome che gioca con la vastità
perché mi parli con un rituale di ondeggio marino
a volte non posso con la mia bocca
e si riempie di rivoluzioni la sera stupefatta
scendono dalle mensole storie impossibili
che sembrano germogliare nelle melagrane del crepuscolo
e a volte nemmeno mi addormento
esausto della calma fuori
per guardarti tra le mie braccia come se fossi la luna
—
Come se inventa un passero?
Con pugno di vento impiumato
O cuore di vertigine in volo libero?
—
Senza prossimo né adesso Forse solo routine
in fuga
Transumante
chi ritorna dal nulla senza coscienza
Chi ha perso la sua ombra nel silenzio
Chi ha lasciato cadere un pezzo di fame
dalla bocca
Senza rivelarsi.
—
Orto
Il ciliegio nel suo fulgore silente
e le rane credono sia la luna.
—
Ce la faremo
Con questa povertà costruiremo una nave.
—
Natura
Nel centro della linfa
porta il tuo nome
il fiore che viene
—
appello
“Se dicono patria / qui sono quelli che fanno musica dal fango”.
Pedro Calzadilla
Da ogni tuono e per il filo del tempo
e le penurie
Da ogni onda e sulla neve delle saline
o le pietre d’acqua delle cime
Sotto la gran costellazione del Sud in fiamme
Dal galoppo del vento tra i polveroni
e per i sentieri delle capre
Tra l’ erba che alza l’ allegria come fiore silvestre
e la tenerezza che i primi voli tessono nell’aria
Da ogni casa dove la luna allatta l’ insonnia
Dalla macchina inutile e i parchi recintati
Da ogni fiume di sole tra i salici
o per le strade che conducevano al pranzo
Da ogni palmo di fango dove il canto
partorisce l’uomo
arriveremo con la parola libertà nella bocca.
—
Portavi una musica nei capelli
e ti guardavo
come una meraviglia che attraversa da una punta
all’ altra l’ angolo della sera
senza parola
appena con me stesso immobile ti guardavo
che poteva importarmi la ragione del eclissi
Marx una traduzione di Quasimodo il vento
perso nel fogliame
venivi con quella musica nei capelli
e attorno non so non seppi non m’importava
se dondolava il tempo.
—
Poetica
Faccio scendere dal silenzio le parole
come frutti
che non hanno nome.
—
Quando passa lo spettro dell’oblio
Quando passa lo spettro dell’oblio
si macchiano di muschio le pareti
sbocciano vortici nell’ora
dove si perdono i nomi delle cose
cadono marce le foglie dei libri
morde l’ossido chiavi e attrezzi
e le parole …
quei passeri che congedano il giorno
con l’inventario degli avvenimenti …
come pietre inutili
si spezzano contro i cristalli dell’oscuro.
—
Poetica
Zappava pablos federicos nella sua bocca
Spingevano per uscire roques robertos
Sudava vladimires
Intanto per i solchi
correva vento eugenio di seme
E lui diceva:
non so niente di poesia
—
Riscatto
Una squadra d’archeologi
crede di avere scoperto
in un recente scavo
reperti di coscienza politica
del popolo italiano.
Temo vadano a finire
in qualche museo.
—
Sulla perdita del cielo notturno
Sia la fragilità umana davanti al colosso della notte:
i suoi mille occhi che spiano la nudità dell’uomo
richiudano i mortali nella crudele cecità
Si è riempito di lampade il vuoto delle ore
notturne
di precaria certezza le strutture del villaggio
Un grande ombrello di luce affinché non piovano
costellazioni,
perché nessuna luna tinga d’argento i rilievi
e succedono incanti nell’altura, combustioni
sfide forme incredibili segni della profondità
Il silenzio venne su navi tremolanti
Tracciano strade fugaci aprono fenditure
nel tempo
sbarcano taciturni interstizi di parole
Dove dormono gli enigmi come dorate fanciulle
trasumano gli abbandonati le loro vigilie
annidano le risposte si distendono gli dei
I balconi hanno perso la via lattea, l’uomo
la sua vera statura
La profonda respirazione dell’infinito.
—
Fede persa
Oro oro oro
e neppure un pane cade dall’altura
—
con varie ragioni
Lei è varie volte tutto quello che illumina
quello che nasce e nasce l’essenziale
semplice artigianato del tempo e delle cose
è varie volte, per esempio la patria
copre nelle sue mani il mio pugno rammenda
i giorni rotti è orizzonte da punta a punta
è varie volte tutto il possibile quando
nel fondo delle domande
cerco dove afferrarmi una corda
la minima radice dove appoggiare un piede
è varie volte la ragione del sole
è, per esempio questo palmo di terra
quel sorso d’ acqua
il primo fuoco di questo falò eterno.
—
Haiku
La notte passò triste:
lacrima scordata
sul geranio
—
Haiku
Un grano di sabbia
è goccia fossile
o scultura di sole?
—
Aprile
La pioggia è un atto di magia
Muta in specchi quello che tocca
Ci trasforma in esseri di vetro
Ombre fugaci che cercano rifugio
Sotto piccole nuvole nere.
—
Scrivo rabbia
Scrivo rabbia a due mani con la bocca col corpo
con pazienza rotta con unghie e sollecitudine la scrivo
una e altra volta nei muri nell’ombra caduta
per il tempo scrivo rabbia nella pietra
nell’impotenza indignata in ogni angolo
della strada sulla carta dei giornali sul vento
col sangue scrivo rabbia con le ossa
in ogni casa dove le altre rabbie di assemblea
affilano le loro grida nei pali nel machete
nelle scalinate che portano all’ ingiustizia
per i corridoi dei burocrati dell’infamia
l’inchiodo come segnale nel bordo dei pozzi
dove cadono sempre ciechi i sogni
da dove migrano i figli
dove gocciola il futuro verso l’abisso
scrivo rabbia coi piedi col gomito nel gomito
sotto sole di notte e nella notte di sole
dalla mano di chi amo scrivo rabbia
nella luna nei lucchetti delle chiusure
nelle fabbriche morte e aratri mangiati dall’ossido
nelle tavole vuote e la tristezza del fratello
scrivo rabbia con tutte le lettere faccio vento
di rabbia pane di rabbia profondo respiro di rabbia
e la rabbia cresce e cresce e cresce come il fiume
come il giorno come un bambino rabbioso cresce e cresce
e arriva alle suole delle scarpe e dopo
alle caviglie e dopo si arrampica sulle gambe
salta al collo degli ipocriti
dei moltiplicatori del dolore altrui e morsica
morde questa rabbia affonda zanne infinite.
—
Origine
Non furono splendenti bronzi di carta
letture clandestine sotto titubante lampada
sennò humus acquafresca complicità di lente voci
che rovesciò i suoi bordi nel canto dei grilli.
Non fu un verso che estese la mano
per portarmi nell’urgente fuoco.
Non ho saputo niente di lei fino a che l’ora esatta
lampo o radice di vastità slegata bestia
o canto dei pini m’ insegnò a nominarla.
Donna forse pioggia segreti d’altro cielo
paese dove non entrava tanto mare o fiume dissanguato
in una parola rotta che occupò le mie mani
fino a farsi nave passero altra mano nella ronda.
Fino a sparare la prima domanda e vedere
solo allora
l’agitazione del silenzio caduto a metà della notte
ferito come me tremante
nel filo dell’ interrogazione infinita.
—
Oggi un aereo
Oggi un aereo, un caccia ultramoderno
di quelli che non servono se non alla morte
gettò semi di lutto sul paese
dove la gente dormiva abbracciata alla paura
Domani i giornali dedicheranno le copertine
alla delusione amorosa della diva di turno
Solo le paure arrampicate al vento
daranno notizia
… Quei cani impazziti
ululando tra le rovine sotto il fumo.
—
Non è una disgrazia
Non è una disgrazia
e’ l’indifferenza
Ripetilo
Ripetili
Ripetiamoli
Non è una disgrazia
é l’indifferenza
—
Se ho da spiegarti
Se ho da spiegarti
la mia mano cercherà nelle lingue del mondo
nell’idioma dei pesci e degli stormi
per il canto dei boschi nella notte
nel mormorio sostenuto dalla pioggia
e il minimo motivo di luce del colibrì
per il sibilo dei esseri della linfa
e la loro entusiasta produzione di gemme
nell’abbecedario dei papaveri
per i telegrafi dei formicai
sotto il rumore di labirinto dei gatti
nella voce del dio che abita la rosa
del tuo silenzio.
—
Indifferenti
“Voi che cogliete i fiori e le fragole che nascono sul suolo,
fuggite, o ragazzi, il freddo serpente si nasconde tra l’erba”.
– Virgilio.
Se sapeva
La storia ha raccontato
– ripetute volte-
tanti olocausti.
Solo bastava l’occhio
e la bocca sveglia.
Non è il denaro
la linfa del mondo.
Ne’ il consumo
la missione dell’uomo.
Adesso pranzeranno
la fame del secolo
come in altro secolo.
Si domanderanno
come è stato
perché è accaduto.
Sarà tardi.
—
Canto 1
Porte porte
sono porte!
le stelle sono porte
aperte
dalle quali fuggono
dal mondo i sogni.
—
haiku
I grilli nella notte
traducono il canto
della via lattea
—
Resistenza
Isso questa dissonanza questa blasfemia
e resisto la pioggia di spade l’occhio filoso
la crudeltà rigurgitata in nome dei paradigmi
degli avvoltoi
I difensori dello straniamento pascolano nei loro ombelichi Saccheggiano la lingua
Succhiano luce e sangue Schiacciano l’ erba
mentre tutto odora d’ incendio e umida banconota
Qui scriverò rivoluzione
tante volte quante sia necessario.
—
Hanno fatto dal pane
Hanno fatto dal pane
un dio detronizzato
Ci sono quelli che non credono in lui
Dal Palazzo ordinano di spaccare
quelle bocche che li nominano
Sotto corrono le sue quattro lettere
come un fiume furioso.