UN GRANDE ROMANZO D’AMORE E DI TORMENTO
CHE INDUCE A PROFONDE RIFLESSIONI E NON LASCIA CICATRICI
Il romanzo, ormai da tempo, ha smesso di essere strumento d’ indagine e di civilizzazione. L’italiano letterario, poi, è un ricordo lontano. La lingua letteraria è sempre più povera, congelata, standardizzata. Anche un minimo di complessità di pensiero e di espressione non piace, infastidisce. La narrativa contemporanea è fatta principalmente di opere di largo consumo, di scarsa cura stilistica e che, il più delle volte, nasconde l’incapacità mettere sulle pagine una prosa di qualità. Spesso gli autori più letti sono quelli che hanno un elevato potenziale commerciale, non di rado sono volti noti della televisione, che promuovono il loro “capolavoro” partecipando a qualche programma, preferibilmente di cucina, fra i fornelli. Nessuna di queste “opzioni vincenti” appartiene a Carmelo Aliberti. Esaminando tutta la sua vasta produzione letteraria ci rendiamo conto che a Lui, e solo a pochi altri, spetta, oggi, il merito di avere ridato dignità alla letteratura. Anche la sua ultima fatica letteraria IL MIO MONDO FINIRÀ CON TE ne è un esempio.
E’ un romanzo ricco di sfumature colte, affreschi storici, drammi, flussi di coscienza, tormenti, sogni, speranze. Non mancano intensi monologhi con il proprio io. Filone principale del romanzo è l’Amore, quello con la A maiuscola, fra Carlo e Anna, la sua Beatrice. L’ Aliberti, come un novello Dante, viaggia attraverso il tempo annodando su questo filone principale altre microstorie, crude, schiette e spesso violente; ci sventaglia le ingiustizie, l’arroganza e le follie di chi detiene il potere, la ferocia e la disumanità delle guerre. Riflette sulla predisposizione dell’umanità al male e alla violenza e come Salvatore Quasimodo, constata che la natura umana è incapace di evolversi. Cambiano i mezzi, cambiano le forme, cambiano gli intenti, ma dietro la maschera dell’evoluzione si nascondono sempre i primordiali istinti di violenza e di sopraffazione dell’uomo primitivo, ”UOMO DEL MIO TEMPO /sei ancora quello della pietra e della fionda… senza Cristo/ Hai ucciso ancora, come sempre…E questo sangue odora come nel giorno quando il fratello disse all’altro fratello: Andiamo ai campi…”
Altro protagonista del romanzo, oltre all’Amore, è la Fede. Un sentimento religioso che Aliberti ha sempre respirato in famiglia. Momenti struggenti, delicati, emozionanti sono quelli dedicati ai suoi familiari. Familiari che io ho avuto il privilegio di conoscere personalmente. Il padre, “ poeta e filosofo” come lo aveva definito mio padre. Il fratello Ninai, una cara persona disponibile ed amata da tutti. La sorella suora, un’anima pura e delicata. Aliberti con la sua penna ci presenta il mondo nella sua interezza, in tutte le sue sfumature, ma con uno sguardo particolare alla sua amata Sicilia, un tempo tempio di arte di cultura, dove si assaporano profumi, colori e dove dimora la bellezza della natura. Terra intrisa di miti e leggende, terra dove pascolavano gli armenti del Dio Sole, già benedetta da Demetra, terra dove Galatea , con il suo pianto perenne per avere perduto il suo amato fece sorgere un ruscello che prese il nome di Longano.
Purtroppo da questa nostra splendida e amara isola si è spesso costretti a fuggire, se si vuole “riuscire a creare i presupposti per formarsi una famiglia, con uno stabile rapporto di lavoro…dopo le delusioni inflitte dal nuovo stato unitario… che non aveva mantenuto le promesse garibaldine…”
Non vi è dubbio che l’autore con la sua straordinaria capacità narrativa e il suo stile colto, ma comprensibile a tutti, ci ha regalato un grande romanzo, che ci induce seriamente a profonde riflessioni su ciò che realmente è la vita. Un soffio di vento, direi io, e ognuno di noi dovrebbe lasciare impronte, non cicatrici.
Novembre 2022 MARIA TORRE
TORRE MARIA (nota biografica)
Vive a Barcellona Pozzo di Gotto (Me), è docente di lettere in pensione e socia e dirigente di diverse Associazioni Culturali del comprensorio messinese. Cura svariati eventi culturali ed artistici. Ha partecipato in qualità di giurata a diversi concorsi e ha scritto per alcuni giornali locali. E’ particolarmente sensibile alle tematiche sociali e ambientali e le piace anche dare nuova vita ad oggetti che non si usano più ed il riciclo creativo è, per lei, a tutti gli effetti una forma d’arte. Ha curato la prefazione di diverse sillogi poetiche e le biografie di alcuni artisti. Ama la scrittura, ma ama anche la pittura e da diversi anni tiene un corso di pittura e creatività presso l’Università della Terza Età della sua città. Ha esposto le sue opere pittoriche in mostre personali e collettive in diverse città. Ha anche realizzato la copertina di alcuni libri. La continua sperimentazione di nuovi materiali e l’applicazione di tecniche ibride le forniscono un terreno di ricerca fertile e vasto. Alcune delle sue opere sono presenti in collezioni private, su cataloghi d’arte e su giornali e cataloghi d’arte on line.
GLI UMILI NELLA POESIA DI CARMELO ALIBERTI
Carmelo Aliberti <aliberti.carmelo43@gmail.com> | |||
Il poeta Carmelo Aliberti è nato a Bafia di Castroreale, un piccolo borgo della provincia di Messina, sito tra l’Etna e il mare, in cospetto dell’arcipelago delle Eolie, cariche di storia e di mito, Aliberti ha vissuto quasi tutta la vita tra i contadini di Bafia, Isolano, ma non isolato, da sempre poeta engagè, dal 1967 ad oggi ci manda una ricca e assidua messe che lo pongono tra i protagonisti dell’azione di rilancio della cultura meridionale. Tessendo un discorso poetico sul filo della coerenza e dell’impegno morale, Aliberti ha cantato la Sicilia e i suoi annosi problemi: la disoccupazione e il conseguente flagello della emigrazione; ha cantato la povertà, le speranze tradite e l’emarginazione; ha additato la tragedia tradita dell’uomo contemporaneo e quella fisica dell’ambiente violentato; ha condannato l’edonismo, la corruzione, il consumismo, l’egoismo e il terrorismo. Ma il poeta ha pure cantato la natura, la pietà, l’amore come poesia e la poesia come atto d’amore. Ha eseguito l’endoscopia del tessuto sociale malato, studiato il microcosmo della propria anima e scrutato da lungi l’approssimarsi dell’Apocalisse. Si è ora affiancato benignamente e fraternamente al pensionato nel bar il sabato sera intento a riempire la schedina del totocalcio, ora ha condannato i mali della società. La sua voce si è innalzata in una sorta di canto corale, si è librata in preghiera e ha lanciato invettive come un profeta inascoltato. Allacciata alla tematica dei vari conati poetici di Aliberti, troviamo fin dall’inizio la figura degli umili. Caro, dolce poeta (dal 1981 15 edizioni in Italia e all”estero) è una feroce condanna della classe politica e del patriziato industriale che rende la classe operaia, vittima di un neocapitalismo economico. L’operaio è condannato ad una vita monotona e stentata:
Eccoti tuffato nella pazienza della fame
nel sudario dei campi straziati
sui selciati dell’esilio per l”Europa
assediato dal gorgo delle lacrime
dal sorriso dei figli e delle madri.
Eccoti nuotare nelle tossine della fabbrica
incollarti alla catena di montaggio
benedire la mano del padrone
che ti assicura lavoro e farmacia
liofilizzati chicco pane
milton mister-baby poppatoio
con la benedizione della madre
che lavora lavora lavora
perchè con un salario la vita è dura.
Il govrtno lo incita a pagare le tasse e a consumare per il benessere dell’economia nazionale:
Devi essere anche tu a fare sacrifici
compila con scrupolo la denuncia dei redditi
traccia croci sui minuscoli rettangoli
infarcisci con rigore le linee
non lesinare spazio alle chiamate
e se non basta scrivi
scrivi scrivi
anche sulla carta igienica le note
dichiara le cifre di pensione sociale
la disoccupazione gli assegni familiari
il contributo per eventuali funerali
dichiara lo spessore
dell’aria che respiri
e poi non tralasciare versa in fretta
fatti I conti l’obolo dovuto
la crisi sarà scongiurata
l’economia riacquisterà salute
la bilancia dei pagamenti equilibrata
nel paniere dellUE saremo uguali
e non importa se il canone impazzirà ancora
se I figli avranno ancora paura
di udire la voce dei padroni
…………………………………………………
La bistecca ora non manca è disponibile
Anche surgelata a prezzi comodi
Corri al discount per la spesa
Sui detersivi e sulla plastica
Avrai forti sconti puoi comprare
A rate l’auto elettrica
La Mutua ti assiste il fegato
Ti cura per telefono la carie
Perchè elastica moderna è la catena
Della tua felice schiavitù.
Per contrasto, Aliberti dipinge a brevi pennellate la vita agiata dei padroni:
Ai padroni le materie prime il tuo salario
La mutua la ristrutturazione aziendale
Le ville gli arenili le pinete
L’aereo lo yacht le piscine
L’harem il sole artificiale
Per la ginnastica cerebro-sessuale
Liturgia manageriale sai
Costano in occhio devi capire
Con l’auto di grossa cilindrata
Con l’elicottero per due nel giardino
I figli con l’Honda la ragazza
Chewing-gum barbarie ostinata
Nei poemetti “Aiamotomea”(1986) e “Nei luoghi del tempo”(1987),è l’umile contadino ad occuppare il primo piano e ad essere avvolto in un’aura di sacralità. Definito da Barberi Squarotti un dei poemi più significativi del dopo-Montale. “Aiamotomea è un panegirico alla contrada aerea di Aiamoto.l’alma tellus del poeta,un luogo che celebra la gente,la storia e i miti sacri al poeta, esumandone I significati eterni, mentre esprime I travagli di un’anima sensibilissima che vive con strazio la storia contemporanea. Il titolo “Aiamotomea”,fortemente carico di significato e che assume l’ufficioliturgica e incantatrice di parola. Aia, è formato di tre elementi che si scompongono e si riconpongono nel corso del poema.
“Aia”—richiamante un grido di dolore-evoca l’area dove si svplgono I millenari riti della civiltà contadina ed è per felice coincidenza la forma in cui-per contrazioni interne- gli scriptores medievali e rinascimentali solevano rendere il vocabolo “Anima”. “moto” indica il movimento,lo slancio dell’anima del poeta,mentre suggerisce il vocabolo “Mautu”, il terreno argilloso su cui si svolge l’epopea Contadina. “Mea”, nella forma Latina suggella la partecipazione affettiva all’argomento del poema. “Aiamotomea” è materia e forza motrice alle ali del canto del Nostro. Dopo una descrizione lirica del natura, volando tra il mito e la storia,il poeta ci presenta vividamente le dramatis personae di Aiamoto. Sospeso tra passato e presente, egli coglie nei gesti più significativi la vita degli umili contadini e dei boscaioli,deformati,resi mostri “ciclopi” della fatica e ingiuriati con l’appellativo dispregiativo di “zaccaini” financo dai paesani,villici essi stessi a qualsiasi altro occhio. Li vediamo sciamare ogni mattina dalle loro case-pagliaio in varie direzioni verso I posti di lavoro,su e giù per I colli circostanti Bafia con la loro parca merenda e l’immancabile boraccia di vino. Sentiamo il profumo dell’aria montana e del pane nei forni a legna,preparati dale infaticabilli donne. Vediamo le stesse donne stendere i lini presso il torrente Longano e tesserae come la “mite Penelope” fino all’ultimo barlume della sera. Il poet canta anche le passioni degli abitantii di Aiamoto,la loro sete spirituale che talvolta spingeva alcubi di essi a remoti eremi “a lacerare febbri d’anima”( sic rede infatti a Bafia che una grotto fuori del paese, abbia ospitato Santa Venera,forse una forma critianizzata della “Dea Mater” Venere).
Ed ecco che il moto acquista una direzione interna,pur sempre nella più ampia dimensione temporale, alternando al passato il presente e il poeta passa in rassegna le tappe della sua vita e il suo legame con Aiamoto. Parla dei suoi sogni omerici e del suo “soave esilio triestino” al quale se ne aggiunge un altro “di agonia e di nulla”. Vaga per “Aiamoto” e nota il pianerottolo dove I cadaveri dei contadini (gli eroi della zolla) venivano portati a spalla su una scala ad attendere l’arrivo di una bara di ruvido pino.
Il poeta porta sulla scena nuovi personaggi. Ci presenta Peppi Ciaurri,che
Torturato dal sole
Con le bertole ancora riaffiora
Dal paradiso perduto nella Valle
Alla necropoli dei vivi.
Rappresentante eed erede della tradizione contadina, Peppi Ciaaurri ne incarna le principali virtù:la laboriosità,che lo spinge a fatiche che meglio si addicono ad una bestia da soma,e la tenace fede cristiana.
Il soprannome “Ciaurri”sarebbe corruzione del turco “giaour” o infedele,inteso Cristiano,meritato forse da qualche antenato per la spiccata religiosità. Infine , sospeso tra la cronaca e il mito, al di là di ogni titolo personale,ma paradossalmente cosciente più che mai della realtà quotidiana di Chernobyl,dell’atomo demente,il poeta ottiene una visione apocalittica e raggiunge la schiera di Dante, Leopardi e Ungaretti,naufraghi dell’infinito
Un altro celebratore della civiltà Contadina indigena è “Nei luoghi del tempo”, che ha come epigrafe,la ben nota citazione del Vangelo secondo Giovanni (15,5): “Io sono la vite,voi siete i tralci”. Questo poema quasi liturgico fu presentato nel paesino di Salice (Messina), il 12 settembre del 1987,nell’ambito delle celebrazioni della saga del vino.
Partendo da un ampio quadro cosmogonico,
La giostra degli atomi il clinamen
Il palpito dell’etere le stelle
Nell’azzurro infinito
Il poeta passa per le varie tappe della storia umana,bibliche e secolari:
Il soffio della vita nell’argilla
L’agonia del diluvio
Il gaudio dell’esodo dall’’arca
Al luccichio dei grappoli sui tralci
Il sogno di Alceo nell’alcova dei sorsi….
L’esilarante utopia di Epicuro……
I paradisi perduti di Andes
L’arsura storica di Plinio
Che frugando nei misteri di Longane
Illuminava di sorrisi il giorno
Con il nettare dei vini mamertini.
Approdato all’era Cristiana,Aliberti identifica come atto centrale dell’Eucarestia,la consacrazione del pane e del vino,foriera del sacrificio della croce:
E poi quel calice impagliato
Che squarciò le nebbie del peccato
Con il sangue della Vita Vera….
Con brevi ma incisive immagini, il poeta delinea la storia umana dal Medioevo ad oggi “dalla prostettiva degli umili”. Li vediamo “nel brusio beato dei pagliai/ all’ombra dei castelli”,poi sotto la veste dei “cafoni” di Silone/
Aggrappati alle labra del…mare/sciascianamente colore del vino, sentiamo la loro sete “di pane,di giustizia e amore”. Sfruttati dai padroni “(prensili idre clandestine) I contadini rimangono “Cristofori”,portatori dei valori della civiltà Cristiana,martiri e testimoni di essa, e celebrano l’Eucarestia ripetendone gli atti centrali: la produzione e la consumazione del pane e del vino.
Giunto al presente,il poeta confonde la sua persona con quella dei suoi ppersonaggi e si definisce “Il Peone del Sud esiliato” a Trieste che cerca la sua terra in un sorso di vino. Ricorda poi con amarezza le tradite speranze del compromesso storico “I docili inganni delle ideologie parallele”) e gli anni di piombo/che insanguinarono/ l’anima vergine di orrore”.
Ma oggi gli stormi dei poeti engage riscattano I valori della cultura Cristiana,pagati con il sangue di “Cristo-contadino” e conservati allo stato più puro dai contadini,dai più umili. I pargoli di Omero fanno da testimoni,versano
Ampolle di rabbia e di delirio
Per lo sgomento atomico
Urlato da Cassandre inascoltate
Per le vittime di tutte le guerre
(apartheid, aids, disoccupazione, ozono)
Assunto il ruolo di sacerdote e di “figura Crishti,essi
Gridano equità gridano amore
Per il sangue nei secoli versato
Dalle agrodolci ferrite d’aprile
E contro I nuovi farisei e pubblicani
All’Erode del progresso e del futuro
Con l’ultimo rantolo di fiato
Si ostinano a cantare
“Io sono la vita, voi siete I tralci”.
Noi siamo i “gavinales”
Del paane del vino della storia.
Noi Prometei del Duemila
incatenati alla croce dei giorni
siamo della gioia di vivere l’Annata
subliminante Memoria.
Gli umili hanno un ruolo anche un ruolo di rilievo in uno dei più recenti conati poetici di Aliberti “Itaca”(2000-2008-2014,2018.2021,2022,ec.) un poema allegorico ricco di richiami e di echi omerici e danteschi. L’Io narrante di “Itaca” è Aliberti,novello Ulisse e novello Dante. Nell’Odissea Ulisse sfida un Dio spietato,pur di rivedere Itaca,la patria che conserva I suoi amori familiari. Nella Divina Commedia,Dante sfida le tre belve,l’amore,l’inferno. Ma con l’aiuto di Virgilio e Beatrice raggiunge la sua patria celeste,dove il poeta che rappresenta l’umanittà intera, creatura di Dio,si ricongiunge con il suo Creatore. In Itaca,troviamo il poeta,uomo del suo tempo, sopraffatto dal male di vivere e gravato dalla coscienza dei peccati della storia:
Ero solo,davanti a me il deserto
Nel cerchio di ghirlande insanguinate,
Sugli asfalti delle città sgomente
Il grido di Caino ancora vivo
“Andiamo ai campi”
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Il secolo mutilato era in salita
…………………………………………….
Tormento della storia
Degli Anni degli orrori.
Il poeta è consolato dai ricordi della vita semplice ma eroica della sua gente:
Come esplodono nel verde dei castagni
Le guance degli estinti nei sorrisi
Sugli accesi sentieri di spighe,
Sciamano per ovili e vigne d’oro
Dai mille antri sapore di miele:
Il sole brilla sulle nuche austere,
Il sudore spalmato tra I capelli,
E a sera tornano nel tufo della stanza
Profumata di garofani e ginestre,
Gli occhi inchiodati nella culla.
Sperando di approdare “all’isola invisibile degli angeli”. In questo sogno allegorico il poeta teme di naufragare insidiato dall’Orca e dalla maga Adelasia.. Invoca allora l’aiuto del poeta Cattafi. Avrà per compagni altri poeti:Kavafis,Bevil acqua,Cassata, Isgrò, Montale, Nino Pino, Stylo, uomini-eroi che egli invoca per raggiungere la sua meta. Il poeta invoca pure l’aiuto dei Lari,la gente semplice rappresentata da Nino (fratello del poeta), don Nicola,don Mariano:
Oh! Sacri Lari,tracciate al timoniere
Il sentiero verso l’arcipelago
Che imprigiona l’isola
Tra schegge di soprusi,
La zattera è tremula di vele
Nel risucchio di correnti rapinose
E il capitano affonda nelle lacrime
Di un viaggio straniante senza bussola.
Saranno I poeti,I poeti veri, non quelli “mercenari”, ad accompagnare il poeta e saranno “I Sacri Lari” ad indicare al timoniere la giusta rotta che conduce Aliberti alla patria a Bafia, idillico Villaggio montano popolato da discendenti di carbonari,pastori e contadini nella Speranza di iniziare una nuova era eroica per l’umanità.”Caro dolce poeta”,”Aiamotomea”, “Nei luoghi del tempo” e “Itaca” celebrano la vita semplice degli umili, conservatori dei valori che hanno istruito e informato la nostra civiltà, valori eterni che si riflettono nella loro vita e nelle loro opera .
ENNIO ITALO RAO
University of North Carolina, Chapell Hill
U: S: A.