CARO, DOLCE POETA
Poemetto di
CARMELO ALIBERTI
A cura di LUCIO ZANIBONI
L’opera di Carmelo Aliberti “Caro Dolce Poeta” è un canto lirico più che mai attuale anche se la sua data è ‘78-80.( numerose edizioni in Italia e in varie lingue)
Il mondo che Aliberti presenta parte dalla Seconda Guerra Mondiale ed è un tracciato della vita, del progresso, della rinascita e ricostruzione, dopo una guerra che ha dato la peggiore visione di crudeltà umana in armi e nella vita civile. I miglioramenti di vita hanno arrecato maggiori possibilità finanziarie ma la trasformazione da agricola a industriale, ha materializza to la vita e l’operaio alla catena di montaggio è divenuto simbolo di una nuova schiavitù.
Le ideologie marxiste hanno allontanato dal Dio della croce sostituendolo col Dio denaro. Molto si è perso della vita basata sulla fratellanza, mentre i grandi edifici alla periferia della città sono divenuti dormitori, case prigioni di uomini costretti a un lavoro senza respiro.
Anche l’entrata nella vita sociale delle utilitarie ha creato altro stress in code interminabili e altro smog tale che si è stati costretti alla misurazione dei gas nell’atmosfera per verificare se sono tali da permettere possibilità di vita. Aliberti nel suo canto è voce disperata a denuncia dei mali che reggono il mondo. Vorrebbe il ritorno all’”umanità” fuori da una vita robotizzata che ha ucciso la divinità e l’etica, sostituendole con l’arbitrio e il diniego dei valori.
Il poeta invoca, in vita, depreca, piange, ma il suo grido non viene ascoltato, perché tutto è rivolto a interesse materiale. Le illusioni del dopo guerra, della liberazione, deposte le armi, erano di una vita nuova e le promesse non si sono avverate. Il poeta scorge nel latte artificiale (ma sono diversi i segni dello stesso intento) il simbolo della natura snaturata.
Quella natura che è retta dall’armonia universale. Ecco allora il vuoto nelle mani e nel cuore. Ecco l’aridità, l’alienazione, gli psicofarmaci e la droga a cercare di sedare il vuoto interiore. Le mani sono vuote, perché c’è un possedere effimero senza vita interiore, solo apparenza.
La lirica di Aliberti incide profondamente in chi ha sensibilità e benchè condanni è invito, sprona a uscire da un sistema schematico, senza luci, per mirare alla rinascita, al risveglio di volontà nuove, a un’umanità risollevata ed etica, al ritorno a Colui che regge l’armonia universale.
Lucio Zaniboni