RECENSIONE ALLA RACCOLTA DI POESIE DI FRANCESCO CONTI “A VITA E’ POISIA”, Edizioni Smasher, Barcellona (ME), 2021.
Francesco Conti, costretto a restare in casa, in seguito alle tante disposizioni di legge miranti a limitare il diffondersi del COVID-19, ha riscoperto l’attività di leggere, di leggersi nell’animo e di scrivere, fino a programmare di mettere ordine ai suoi più recenti scritti e pubblicarli nel giugno 2021 con il titolo “A VITA E’ POISIA”, Edizioni Smasher, Barcellona P. G. (ME). – La raccolta contiene alcune poesie in lingua italiana; la maggior parte sono composte nel dialetto dell’area geografica del nord-est della Sicilia. Si ispirano alla storia personale con le sue gioie e le sue amarezze e ai luoghi vissuti dall’autore tra riservate emozioni e memoria collettiva di eventi, che hanno definito il suo essere poeta. Attraverso i contenuti dei suoi versi, ci ricorda di conservare il valore della propria identità, compreso l’uso del linguaggio popolare, che, ugualmente espressivo, coinvolge il lettore in un cammino di ricerca interiore sul significato dell’esistenza umana e del nostro stare insieme.
La prima fase della vita di Francesco Conti è stata contrassegnata dalla dolorosa perdita del trentottenne padre Salvatore in un incidente sul lavoro, l’8 agosto 1958. Egli, allora, aveva solo otto anni. Gli studi professionali in collegio, con l’assistenza dell’E.N.A.O.L.I., gli hanno consentito di conseguire il diploma di elettronico per telecomunicazioni e, dopo avere svolto un corso di istruzione professionale della SIP (poi Telecom), è stato assunto come tecnico di centrali telefoniche presso la centrale di Messina Nord e poi, a seguire, nelle sedi di Milazzo, Barcellona e Patti. Dal mese di settembre 2007 è in pensione. – Fin da ragazzo ha avuto la passione per la lettura, la scrittura e il gioco del calcio. Ed ora, libero da impegni di lavoro dipendente e non più in preda allo stress quotidiano, si sofferma su tante esperienze vissute, contrassegnate da ricordi di gioia e non, di lacrime versate ed evaporate nel corso del tempo e di speranze con la prospettiva di guardare lontano nel futuro, fino ai lontani traguardi delle stelle.
Negli affetti familiari la sua ispirazione poetica raggiunge livelli più alti. Già ricordando i suoi sedici anni, contrappone le “patite amarezze dei teneri anni” alle tante illusioni “…d’attesa alla vita” (pag.21). Sedici anni, età coincidente con quella di suo zio Giuseppe, fratello di suo nonno paterno, quando nel 1911 emigrò verso l’America, lasciando la famiglia e la sua terra con l’amarezza nel cuore. Ritornò per un breve periodo di tempo nel 1928, solo una volta, per sposare una donna siciliana. Si portò nella tomba il desiderio di non poter permanere nella terra d’origine, ricca di sole, di verde, di storia, di eroi, di cultura, di opere d’arte, che all’estero ci invidiano e nello stesso tempo ci imitano. Terra amara per chi vi è nato povero. Con la dignità che contraddistingue il carattere dei siciliani, l’alternativa era ed è l’emigrazione, per guadagnarsi un pezzo di pane con onesto lavoro. Affrontano sacrifici fin dalla partenza con grandi navi “ ‘nta terza classi, i mittiunu ammassati” vicini alle loro valigie piene di speranze (pag. 27). Arrivato in terre lontane e sconosciute, l’inserimento dello zio nella nuova società non fu agevole, ma contrassegnato da estrema precarietà per non possedere una propria casa, per non conoscere la lingua straniera, l’inglese, per adattarsi ad accettare lavori più umili e faticosi, precari e sottopagati, per non essere considerato “straniero”, ma “estraneo”. Per tutto questo, lo zio e anche altri emigranti rimangono ancora più legati ai ricordi dei luoghi natìi, alla casa, ai parenti, agli amici d’infanzia, ai giochi con i coetanei “a mucciatedda, o campanaru, a moffa, o suddatu” o con il pallone nelle strade, se il centro abitato non era dotato di campo sportivo.
In altri versi, Francesco Conti ricorda la madre, “fragile e piccola, ma di grande cuore” (pag.16) , che ha donato ai figli quanto di meglio poteva dare (pag. 61) e il padre, affettuoso e geniale, morto giovane in un incidente sul lavoro. Tanti anni dopo, nella stessa data dell’otto agosto, è venuto alla luce il pronipote Francesco, in un particolare intreccio di mistero e di realtà, di dolore e di gioia (pag.59).
Dedica altre poesie alla moglie, figlia della stessa amata Sicilia, maestra di scuola, dotata di tanta pazienza e bontà infinita (pag. 57), solo insieme a lei ha un senso la sua vita (pag.111); alla figlia Janita, nella lieta ricorrenza del compimento dei suoi quarant’anni, tutti gli elementi della natura “si uniscono in coro, nel comune augurare” (pag. 99); al figlio Salvatore, che, compiuti i diciotto anni e diventato maggiorenne, deve sentirsi più responsabile e lasciare stare i balocchi (pag.100); ai quattro nipoti, gioia dei nonni: insegna a loro che la vita non è tutta rose e fiori e che, quando si cade, bisogna rialzarsi, non scoraggiarsi e continuare a camminare; a suo cugino e padrino di cresima Santo Buglisi, fin troppo buono di cuore, “sempre a disposizione di tutti e a tutte le ore” (pag. 101).
Sulla base delle esperienze di vita pratica, Conti nota degrado morale nella nostra classe politica litigiosa e corrotta, arrogante e parolaia, priva dell’alto senso dello Stato. Essa inganna i cittadini con promesse elettorali, che poi non mantiene, soprattutto nell’applicazione dei princìpi di giustizia e uguaglianza e nel diritto al lavoro. Se ogni loro bugia, ci dice, fosse un pezzo di pane, non ci sarebbe nessun terzo mondo, nessuno morirebbe di fame (pag. 74) e tanti giovani, come conseguenza, non sarebbero costretti ad emigrare. Ma il poeta ripone la sua fiduciosa speranza nelle potenzialità delle nuove generazioni, per contribuire a costruire per loro stessi una futura società più giusta, più solidale e di pace, partendo dai valori affettivi e di solidarietà trasmessi dalla famiglia e dall’esempio di giustizia incarnato in grandi uomini, come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (pag. 88). Ed ecco che le poesie di Francesco Conti appartengono a lui e a tutti noi, passando dal particolare all’universale, in un mutare di immagini e figure, nobilitate da un linguaggio scorrevole, popolare, di immediata comprensione.
Domenico Distefano
Montalbano Elicona (ME)