VINCENZO CONSOLO:
LA SICILIA TRA LIMBO DELLA STORA E SPASIMO ESISTENZIALE
di Carmelo Aliberti
Preceduto da “Il licantropo e la luna”, rime dedicate a Vincenzo Consolo, poemetto in cui Aliberti trasferisce emozioni, attaccamento alla terra natia, vibranti aspirazioni alla sua rinascita e ammirazione per Consolo, altro figlio di Trinacria, amata e sofferta patria, tra abbandoni e ritorni, Itaca idilliaca, il saggio in cui Consolo trova piena collocazione tra i grandi narratori da ricordare e fare apprezzare secolarmente.
IL LICANTROPO E LA LUNA
La teca verde dei Nebrodi
In cui fermentò il sangue e la speranza
della rorida ferita dell’aprile,
l’aorta frastagliata d’arenaria
con il santuario proteso ad inghirlandare
il seno della pomice e del cielo,
carrettieri, zolfatari, piscaturi,
femmine nere, picciotti disperati
fenici, greci, normanni e saraceni,
angioini pupari, santi banditi e verdurai,
ombre misteriche, fantasmi innamorati
scintillanti nel mattatoio delle zagare.
Licantropi che abbaiano alla luna
l’oro, le arance, il viola
distesi sui guanciali dell’azzurro
che tra scaglie palpitanti modula,
con le ombre metafisiche e i misteri,
“tra gli argini di malta e sabugina”,
una ferina incandescenza d’aria,
Militello, Capo d’Orlando, Barcellona,
Milazzo ubriaca di ciclamini,
Villa Piccolo, Pantalica, Milano,
Racalmuto, il Caos, Milano,
Sciascia, Lucio Piccolo, Nino Pino,
e dentro gli ipogei della tragedia,
Tu, con la bufera delle sillabe,
calde di onde, di suoni, di memoria,
prigioniero di Lunaria e del potere
s scandire nel diuturno esilio
i riti blasfemi dei baroni
reclusi in follie di possesso,
squarciati dall’Essere
e penzolanti al ramo dell’Avere.
Una lunga catena di amore e di odio,
di ferocia, di riscatti inesplosi, di sterminio.
A marzo nel tepore della notte
subliminata da mandorle e viole
dalle viscere infrante del Vulcano
brillano le luminarie a Salvatesta
risucchiate nel biviere di Alfarano
pronte a riesplodere sui lidi del Tirreno
nelle ferie d’agosto,
e rivoli di porpora ingrottati
straripano nel calice del Sole
a seminare eccidi sull’asfalto
per l’uva ,i pascoli, il sentiero,
per l’oro giallo, bianco e nero
Bronte, Mylae, Termini Imerese,
Fantina, Ragusa, Villafranca
Comiso, Melilli, Gibellina,
Mandrazzi nelle orge di vento della storia
con tetti e imposte mutilati
ospita nidi di ciaule e di gufi
che immobili negli anni attendono
l’eco di un piede umano
e poi lieti andarsene oltre le nubi,
consapevoli di aver atteso un’ombra invano.
Alla stazione nella notte stralunata
il proscritto vagola sui selciati ignoti
dove si frangono
i laceranti concerto dell’addio
dentro celesti cupole di libertà perdute,
mentre nell’anima straziata
vibra dentro piaghe violentate
la fragranza del pane dell’infanzia
e il licantropo squarcia le ansimanti ombre
-il fiato appeso al corno della luna-
con lo strozzato urlo dell’ucciso.
Ora il tempo inanella tra le dita
la necropoli dei vivi di Bafia
dove dentro le labbra spente delle mura
sfavillano incaute perle
di speranza in attesa
del precipizio dell’aurora
dalle vellose fessure delle Rocche
merlate sentinelle sull’abisso
tra Passo dei Lupi e Garamante.
Tu, ora emerso dai gorghi di Plumelia
con la fiaccola dentro l’alveo della mente
ti inoltri vacillando nel mio abbraccio
dentro le squillanti reliquie della storia
dove ancora ansimano nel cranio di pietra
gli echi mistici dei riti del Bosco
e mi sospinge con le tue creature
tra i lemuri superstiti del tempo
di questo nuovo secolo sospeso
alla ragnatela di ori ripugnanti
e mi chiedi
notizie di Filippo Damante
dell’Orante, du Muzzu,di ‘Nzunzù
delle favole antiche e delle streghe
che popolarono le laiche chiese e i querceti
che ancora denudano radici
alle sorgenti del Longano e all’Acqua Santa.
Tu mi chiedi ansioso disperato del dio
di quali dio confortò il dolore
di queste anime morte seppellite
sotto la nuda gleba di Piscopo
dove ancora “Nottetempo casa per casa”
i piccoli falò fremono
di silenzio, di pianto e di preghiera
per le stragi che i demoni dei forni crematori
compirono con il fuoco della cera umana
che hanno insanguinato l’Europa
e che ora altri mostri del potere
vogliono seppellire per sempre
con invisibili virus alleati.
Qui arresi tra le mura
nella tregua ai piedi del Maniero
i disertori di una inestinguibile paura
cercano un rifugio sicuro dal terrore
prosciugò anche il sangue nelle vene arse
tra ululati di sogni ed agonia
I semi incandescenti della parola
pietrificata nella malta e nel pantano,
dove solo le conchiglie lucescenti
si sottraggono alle menzogne della notte
restando invisibili in apnea nel fango
in attesa che le ronde della morte
varchino l’implacabile Acheronte
e le anime morte possano risorgere
nel teatro abbagliante del cielo.
Ora che immensi funghi atomici
aggrediscono con nuvole nere
la visione di uno spiraglio di vita
ora tu cerchi tra gli avelli
con la luminescente cecità di Omero
un flebile alito del cuore
che possa ridestare altra vita
per cancelli il ricordo
della violenza, dell’insania e dell’orrore
con la dolcezza della parola ripiumata.
E Voi, nuovi credenti della sacerdotessa Artemide
che vento e tempesta vi sospingano
verso i sarcofaghi porosi di Pantalica
a ritessere il velo delle Grazie,
mentre veleggiate tra gli imenei
zigrinati del sapere,non voltatevi indietro;
la città di Dite si gretola
dentro altri roghi di nubi tossiche,
e il pianeta già colmo di veleni
mostra segni incontrollabili
di agonia nel pianto delle statue
nelle epifanie rivelate a bimbi puri,
in tutti quelli che piangono
e nell’animo ardono della tua carezza melica,
nuovo Orfeo siciliano,
dolce cantore di felici memorie e di miti.
Predatore salvifico di simulacri mitici,
stritolato un tempo anche tu
dall’empia diaspora del corpo dentro l’anima,
Ti resti vergine nella parola melica
l’isola perduta dell’infanzia,
inebriata dal fiume delle zagare
avvolta nell’afrore del basilico.
Già sul tuo etero mare
che ha ingoiato i tuoi lucenti occhi innamorati,
piovono le scintille limpide
di una nuova alba. I pesci già balzano
in geometrie d’amore. L’Orsa è tornata
a disegnare nel celeste velo
le sue perfette geometrie di un tempo,
il pescatore con le reti è sul molo
pronto e lieto di ripescare
il senso prezioso del lavoro,
la gioia perduta della vita.
CARMELO ALIBERTI (1 ed.2005- 2 ed.2020)
Vincenzo Consolo è nato a Sant’Agata di Militello (Messina) il 18 febbraio 1933 ed è scomparso nel gennaio 2012.
É quindi una ricorrenza decennale della sua morte.
La sua attività artistica ha avuto ampio raggio dagli anni sessanta ai novanta con le maggiori case editrici: Mondadori, Mursia, Einaudi, Sellerio…Gran parte dei volumi editi è compresa nel “Meridiano” “L’opera completa”, curata da G. Turchetta e accompagnata da un profilo di Cesare Segre (2015).
I romanzi e i racconti di Consolo, i saggi critici, gli articoli, le poesie e le riscritture potrebbero con i loro titoli occupare pagine.
Citeremo soltanto il romanzo “Le ferite dell’aprile” (’63) con Mondadori, “Il sorriso dell’ignoto marinaio” (’76) con Einaudi, “Retablo” (’87) Sellerio, “Nottetempo, casa per casa” (’92) con Mondadori.
Molti i premi ottenuti fra cui “Racalmare Leonardo Sciascia” e lo Strega, il Flaiano, il Grinzane…
Aliberti, in questo appassionato, aderente, vissuto iter artistico di Consolo mette in luce un’anima che non trova respiro, avvinto a una terra, la sua, che ama e sente estraniarsi e estraniarlo. E in questa lotta fra le due calamite, odio e amore, trascorre vita e narrazione in abbandoni, riprese, illusioni e disillusioni.
Sono quelle di Consolo pagine che Aliberti ripropone ai lettori con lo stesso spirito di Consolo, perché pure lui, nelle sue peregrinazioni fisiche e artistiche, ne ha vissuto aspirazioni, nostalgie, sogno, negazioni.
Con Consolo si interroga sulla possibilità dell’espressione, si rende conto della continua modificazione del reale e della difficoltà di realizzarla. Così la conclusione che allo scrittore restino poche possibilità di trasmissione di pensiero e anima.
È un saggio, a mio parere, che dovrebbe avere attenzione particolare da chi veicola cultura al Sud, perché Consolo, ( come del resto Aliberti) è uno dei figli dotati di una Sicilia che con lui può vantare Sciascia, Bufalino, Pirandello, Quasimodo, Tomasi di Lampedusa…Alla intensa e florida fioritura di racconti, scritti vari e poesie va considerato anche il vasto bagaglio di articoli della sua attività giornalistica alla RAI, per la Stampa, il Corriere di Sicilia, il Corriere della Sera e il Messaggero. In Consolo si incarna uno spirito libero, alieno da condizionamenti (mafia, fascismo…) e questa sua anima pura viene bene messa in luce e particolarmente riferita nel romanzo “Notte- tempo, casa per casa”.
Qui il fascismo è rappresentato come apocalisse storica da cui per vent’anni non se ne poté uscire.
Contemporaneamente il romanziere ha affidato alle sue righe la speranza di una nuova dimensione sociale, di un futuro utopico di rinascita.
Fra i meriti di Consolo non manca anche quello del senso vero della cultura e della storia, nel rispetto delle tradizioni, con pari dignità in ogni paese.
Un lavoro, questo saggio di Aliberti, che, celebrando la validità narrativa di Consolo, stimola Siciliani, e non, a una risalita dal buio del consumismo, dall’usa e getta e dei messaggini, a una letteratura che sia ancora vanto come lo fu quella fino agli anni novanta.
Mi piace terminare questa mia breve, sommaria esposizione con i versi di Consolo in “Poi”.
“Poi,/ quando sorge e sale nel cielo/ pallido e regale il faro familiare,/ lo schermo opalescente,/ il sipario/ consolante dell’infinito e dell’eterno,/ torna incerta,/ tremante la parola,/ torna per dire/ solo meraviglia.”
Sant’Agata di Militello (2007)
LUCIO ZANIBONI