MI ARRESTO D’ESTATE
Il tuo invito di scendere d’estate
laggiù ambiguo. Io per questo,
qui non afflitto mi arresto
nel sole agostano che frequente
affoga l’acqua forte.
Non scendo. Pure qui discretamente:
mi prende in certe ore
una brezza: non è di Taormina
o della nuova Limina,
ma è della Lessinia
mondata, verde. Al ritorno del Cane
poi dalle scaglie d’un cedro
del Libano mostruoso le cicale
stridono forte. Tu mi dirai: “non sono
le nostre”. Ed io in risposta: “ sono
il pianto di una pletora di menti
che va svanendo assieme al loro fumo”.
Ascolta: Non potrà nulla accadere
più bello della morte. Ce lo scrisse
il bardo Walt Whitman. Mi è apparsa
sul muro a secco ornato di gerani
luminosa un meriggio a Caldiero
dove vagavo ed ero
inane tra gli annosi ippocastani.
La sopraddetta poesia fa parte della silloge Suavis Domina editata a Verona nel 2011 con introduzione di Mario Geymonat. Di questa aveva scritto una sua intensa e sentita analisi sul quotidiano l’Arena il poeta Arnaldo Ederle, da alcuni anni defunto. In “Mi arresto d’estate”, l’autore si era considerato, come mille e mille che scrivono versi, un diverso, un motivato, come si suol dire. I poeti? Ricordo che ne esistono un’infinità pure di spicco ma ignorati dai media. Una vergogna. Nonostante la loro emarginazione, Calliope prolifera tanto e, a proposito, non dimentico una boutade di un editore siciliano che soleva divertirsi ripetendo: ”In una famiglia di cinque persone sei scrivono poesie in quanto uno di questi si firma con lo pseudonimo”.
Il poeta in “Mi arresto d’estate” non canta una catabasi in terra di Trinacria, ma il rifiuto in quanto ove risiede può usufruire di piacevoli giornate e serate estive d’agosto con le brezze che certo non sono quelle delle colline ioniche, con non lontano l’azzurro del mare. Amico poeta, Giorgio Gabanizza, bellissime e povere quelle colline di Limina, di Savoca, Casalvecchio e di Antillo con le quali si imbatte il vacanziere, una volta uscito dal mitico Stretto con Scilla e Cariddi e percorre la riviera verso la baia di Taormina e la piana di Catania. Dicevo delle brezze agostane veronesi. Belle a tarda sera in via 24 Maggio quando dalle scaglie di un mostruoso tiglio si tacciono le cicale che nella poesia di sopra “sono il pianto di una pletora di menti/che va morendo assieme al loro fumo”. E, conseguentemente, nulla potrà accadere “più bello della morte” secondo il bardo Walt Whitman. Durante un suo vagare alle terme di Caldiero, il poeta di “Mi arresto d’estate” immagina di vederla luminosa, questa instancabile eterna mietitrice, “sul muro a secco ornato di gerani”.
Poeta civile Giorgio, in questi anni di anzianità e di rotture corporali ti sei fermato con predilezione al sole estivo nella tua città. Di questa, a volte, esprimi la storia con particolari sull’anfiteatro e sulla ricchezza dei vigneti che paiono un estesissimo fazzoletto, un dono della natura. Nella tua silloge poetica Stagioni ritrovate/ Con appunti per un poema (Albatros, 2020)hai, fra l’altro, cantato a Verona il 4 giugno 1964 e 30 luglio dello stesso anno:
Per quanti freddamente sorridono alle debolezze
di rimpianti, delle speranze, delle vere passioni
chiedo
se hanno saputo
per amare
piangere…..
e chiudi questo singolare testo con un interrogativo che suona:
Quale la nostra canzone
eterni mendichi senza
zampogna?
Certo, come un tempo, non scendi per la gotica nostra penisola. Il tempo pesa addosso come macina di mulino. Il poeta di “Mi arresto d’estate” qualche tempo fa entrava più nelle Librerie che nei Caffè. In una delle diverse della città, una commessa gli chiese di volerla ricordare dopo che gli aveva venduto in due tomi la Poesia italiana del Novecento a cura di Edoardo Sanguineti. Allora, amico Giorgio, il poeta la ricordò inviandole telematicamente il seguente lineare agile testo. Era verso la fine di febbraio.
RICHIESTA DI SUONI
Operaia, tra la dovizia di carta
stampata, in questi giorni ritornano
le viole che delicate tosto periscono.
Mi chiedi, capitato
laddove un po’ di pane ti deriva,
suoni, che antichi ti vergo e mi ergo
di donare, mentre tra le nebbie
di tristezza trapassa la umana
dignità, complice la bestiale tirannia
di uomini forati dal profitto.
Di agosto, mentre la scienza prova a debellare la peste, per alcuni giorni, dopo che ti eri arrestato in città, sei uscito, Giorgio. Forse per ispirarti nei luoghi della tua gioventù trascorsa a Urbino, dove nacque Paolo Volponi di cui hai letto e non sei rimasto tanto rifatto il suo romanzo La macchina mondiale Hai così creduto di variare nel luogo dove visse l’orfano Giovanni Pascoli il tuo esistere o ti sei illuso. Hai fatto bene in luogo di percorrere ogni giorno in bici le strade della città scaligera che ti disperde.
Sebastiano Saglimbeni