Carmelo Aliberti, critico letterario di fama e scrittore
pluripremiato è così noto che non mi soffermo a
elencarne opere e approdi raggiunti. Dirò solo che sono
innumerevoli le opere di saggistica, poesia e narrativa e,
tra queste ultime, di recente uscita, il romanzo storico:
“Briciole di un sogno” (BastogiEditore).
Con il poemetto “Tra il$Bene e il Male” ci consegna
un’opera,ancora una volta, al di fuori dei consueti canali
letterari contemporanei.
E’ il testamento spirituale che un nonno vuole lasciare
agli amati nipoti, una lezione di vita e d’amore di grande
ricchezza lirica ed etica.
Ogni poema, dalla classicità alla contemporaneità ha
sempre avuto un’invocazione, una dedica, un preludio
ispirativo richiesto alle Muse, al cielo, alla Vergine o alla
donna amata.
Aliberti sceglie quest’ultima strada e ci consegna una
dichiarazione d’amore indimenticabile di
palpiti virginei.
I versi dedicati alla compagna di una vita risaltano per
bellezza formale e profondità, al di fuori di ogni
atteggiamento, in un cuore che si offre a un altro cuore
con la delicatezza di chi tiene tra le dita un fiore:“…
Ogni giorno con te| con te ricerco | nello stridore dei
tramonti | il profumo dei fiori, il senso reale dei colori|
il mio essere perduto nel risucchio dei giorni e del
futuro| mentre tu allodola gentile | ti nascondi nel velo
dei sogni | e non rispondi. | Ogni giorno con te | sei
dolcissima | con me che riaffondo nella palude del
male…”
So benissimo che i lettori saranno comprensivi, dopo la
lettura di questi versi, del perché non abbia
immediatamente proseguito la descrizione del progetto
inventivo dell’opera,preso dalla bellezza della dedica.
Riprendo, affermando che l’autore vuole trasmettere ai
nipoti e a noi tutti, che ci accostiamo alla sua opera, che
la migliore eredità che una generazione può trasmettere
alle successive non è un patrimonio di bene materiali,
ma un retaggio di esempi a indicare il senso della vita,
così che essa sia una moneta spesa ad acquistare
equilibrio e discernimento di ciò che è il bene onde
evitare il male.
Sono insegnamenti di un nonno e lezioni di un maestro
di scuola e di vita, porti con naturalezza e, perché rivolti
ai nipoti, arrivano a noi non dall’alto di un pulpito, ma
da una voce amica che suggerisce.
Nella seconda parte dell’opera il poeta,quasi su una
tastiera di pianoforte,passa dai toni morbidi a tonalità
forti, nella condanna del degrado dei nostri giorni:
“…i farisei e i pubblicani profanano | ancora le porte del
Tempio con tappeti | intarsiati | e nell’agorà vendono
bugie edulcorate | per proseguire a torturare con
soprusi…”.
“…Ora la maniacale febbre del potere | ha trascinato il
mostro umano nel girone| fetido del Male più profondo|
con carica di ordigni distruttivi, nascosti nello zaino del
pane…”.
Chiaramente il poeta soffre nella constatazione che il
mondo ha deragliato dai binari della eticità e alla visione
della devastazione del bello e del sacro, del mercimonio
del sesso e del potere e della aridità di cuore di fronte
alla disperazione e alla fame.
A questo punto il poemetto si rivolge al cielo,a Dio, in
una prece accorata:“…ti supplico, con ciglia folgorate,
non rimanere indifferente | alle stragi selvagge
consumate | tra fratelli sul proscenio della tua bellezza|
Dio paterno misericordioso e giusto…”.
“…e custodisci ancora| devotamenteil mondo
gocciolante di fiele | che barbaramente si accanì sul
vecchio prete | con la bianca colomba svolazzante sul
capo | e il ramoscello d’ulivo stretto in mano.”
Il suo grido di dolore, forte e vibrante come una sonata
di Beethoven, penetra nella mente e nell’anima.
Ancora:“Tu, anche Tu, fratello Cristo trafitto | nella gola
con il sangue raggrumato | da spade criminali nelle
piaghe,…”V “…Dio dei vinti, dei ladroni e degli assassini
|ora che torme umane fuggono | impaurite da stragisti
di ogni colore, | dicci le nostre colpe, quale la nostra
meta | e chi allatterà il bambino piangente | solo nella fredda
culla?…”.
Il poeta si rivolge poi all’Italia che è stata culla di poesia
e civiltà e ci ricorda i grandi che hanno lasciato
all’umanità eredità spirituali grandiose: Virgilio, Dante,
Petrarca, Foscolo, Manzoni e, allargando l’orizzonte,
Omero.
E’ un’opera questa di Carmine Aliberti che scava
profondamente, perché affidata a versi pensati,
sapientemente meditati e sofferti e con accesa passione
tesi a significare la grandezza del bene e in contrasto la
bassezza del male che, nel confronto, assume toni
sempre più cupi, perché come afferma Goethe: “Dove c’è
molta luce, l’ombra è più nera.”
Nell’ultima parte l’opera ricorda Turiddu Coddulongu
nel secondo dopoguerra a Bafia:“Appeso nel vuoto ad
un aereo nemico con la corda d’acciaio attorno al collo.”
“Tra il Bene e il Male” è fuori commercio e questo mi
spiace (non si tratta di questioni materiali); forse in
altra collocazione potrebbe avere maggiore diffusione
per un duplice motivo: il primo che è un’opera lirica di
alto livello, l’altro che il suo contenuto etico, al di fuori di
una facile retorica predicazione, può accrescere in noi la
volontà di migliorare e chiedere al cielo di farci
percorrere il nostro viaggio terreno, avendo come metro
il Vangelo, l’incomparabile eredità all’umanità di Cristo.
LUCIO ZANIBONI