Con BRICIOLE DI UN SOGNO, Carmelo Aliberti, refrattario alle logiche dell’omologazione imperante, si è proposto di realizzare, riuscendovi, un tipo di romanzo diverso dai tanti che riempiono oggi gli scaffali delle librerie. Il percorso narrativo si snoda attraverso aforismi, frammenti di prosa poetica, frasi in dialetto siciliano, brani di poesia dello stesso autore e di grandi poeti-da Dante a Leopardi, da Quasimodo a Neruda a Ungaretti-che consentono di evidenziare la realtà interiore dei personaggi e di mostrare le radici sotterranee del processo formativo dell’universo interiore, fibrillante di valori etici, inesprimibile in un contesto storico di schiavizzazione di tutto., Il romanzo è ambientato in Sicilia ,per la precisione a Bafia, nel Messinese, un borgo popolato da contadini e pastori: il protagonista del romanzo, alter ego dell’autore, conosce molto bene quel mondo, essendovi nato e avendovi trascorso gran parte della sua vita: un volo virtuale tra realtà e letteratura, tra il crudo realismo delle condizioni di povertà e di totale schiavitù plurimillenaria del proletariato nel susseguirsi di diverse epoche, in cui la borghesia agraria era padrona assoluta di vita e di morte dei propri sudditi, che irrigavano i solchi con sudore, lacrime e sangue, rassegnati al proprio destino, concretamente consapevoli che nulla sarebbe mutato con il trascorrere del tempo, ma con l’avvento dello Stato democratico, un vento nuovo è cambiato “de rumbo” e la generazione post-resistenziale, pur rimanendo nel circuito consueto, avverte il pulsare della non lontana speranza e opera laboriosamente per ricucire i superstiti frammenti del sogno, con gli strumenti della cultura nel periodo di alfabetizzazione del mondo contadino del Meridione e della Sicilia. L’angelica visione dell’eterna Beatrice che lo trascina ossessivamente nel volo celeste, lo accompagna segretamente nei suoi spasimi d’amore, che lo scrittore riversa nella solidarietà attiva con gli esclusi, ignari, ma speranzosi in una miracolosa redenzione.
CARMELO ALIBERTI
BRICIOLE DI UN SOGNO
IL ROMANZO DELLA RINASCITA DELL’UOMO
SUL TROPISMO MORTIFERO
DI TANTA DELETERIA LETTERATURA CONTEMPORANEA.
Rispetto all’infatuazione vituperevole verso gli idoli più diffusi nella nostra modernità, in Briciole di un sogno Carmelo Aliberti riesce a scandagliare i recessi di un’anima che si libra al di sopra di ogni tropismo mortifero, esulando dal rischio di un bozzolo solipsistico per proiettarsi nella scia di un dialogo incarnato, tangibile e poderoso con le figure più emblematiche del proprio universo siciliano. Se una parte della letteratura odierna indulge nel sollazzo metanarrativo e nella rappresenta- zione univoca della tetraggine ovvero dello squallore imperante, esistono pure eccelsi narratori capaci di abbracciare orizzonti di ampio respiro che conferiscono una risonanza favolosa ai loro testi, fra cui va indubbiamente annoverato Carmelo Aliberti.
Aliberti contempera l’abbarbicamento locale, tellurico e contadino improntato talvolta a suggestivi bozzetti cronachistici con il riecheggiamento di una folta schiera di illustri siciliani di ieri ed oggi, fra cui spiccano Pier Delle Vigne, Salvatore Quasimodo, Vincenzo Consolo, per cui l’autenticità della rappresentazione siciliana non è mai avulsa da una dimensione storica ed universale. Nei momenti soffusi di intensa comunione tra i personaggi e il contesto paesaggistico, altrui e il mondo, aleggia una temperie quasi edenica del creato in un fulgore pancallico, per cui libiamo l’olezzo delle zagare della Sicilia bedda all’infuori di qualsiasi rattrappimento oleografico. In modo perspicuo e pungente, Aliberti riesce comunque a cogliere il volto ambivalente della propria isola in bilico tra retaggio classico, natura favolosa e nefandezze storiche, palesando sia alcune conquiste civili e culturali sia il gattopardismo strisciante dei ceti dominanti, gli intrallazzi politici, la supinità diffusa nei confronti di rapporti di sopraffazione introiettati dalla popolazione senza trascurare il deturpamento di litorali come a Milazzo. La focalizzazione sulla Sicilia va di pari passo con la consapevolezza che la barbarie talvolta dilagante hic et nunc non prescinde dai prodromi di un’apocalisse incombente sull’intero pianeta, il che spiega le allusioni alla bomba climatica, ai morbi pandemici e alle parole profetiche di papa Francesco. Il protagonista, alter ego dell’autore, è un adolescente confrontato alle insidie della vita e perfino delle istituzioni, che riesce a travalicare con l’ausilio dell’amore ricevuto e prodigato e con la dedizione indefessa alla studio e alla letteratura, trovando la propria vocazione personale in un connubio con il popolo, gli umili spesso martoriati e anelanti al riscatto. Va osservato appunto che sin dal primo capitolo la narrazione offre uno squarcio sullo spasimo esistenziale di donne conculcate nella loro dignità dalla violenza maschile a sua volta correlata all’oppressione raccapricciante dei neofeudatari. Davvero stupendo riesce il ritratto dei personaggi di Francesca e Venera, Rina e Carmelita perché esula dai soliti topòi acquistando del resto uno spessore straordinario con la rievocazione di figure dantesche e cassoliane. Indubbiamente trapela a questo riguardo una propensione altruistica, un immedesimarsi in personaggi cesellati con impareggiabile perizia che agognano al vero amore contrastando la bramosia di possesso e di dominio. Il testo alibertiano si caratterizza per l’estro narrativo che non si perita ad accostamenti ardimentosi, superando i confini generici, spaziando dal soliloquio all’invocazione, dal richiamo a figure mitiche e al racconto corale, insomma da un certo realismo icastico a rapimenti fantastici. Il poeta vate dà la stura al proprio strazio invitando il lettore a vibrare alle citazioni liriche e a indignarci con lo strale dell’invettiva.
Il fermento che vitalizza il romanzo alibertiano sta nella rivendicazione di un cristianesimo degli umili, di manzoniana memoria, un confrontarsi ineludibile dapprima con la mota della condizione umana, con le contingenze insite nell’immanenza terrestre e poi il delinearsi di uno sguardo verso le stelle, verso la trascendenza, mentre la relazione con Cristo funge da ponte salvifico tra questi due poli. Va notato che tutto il romanzo è pervaso da un fremito ovvero da un afflato salvifico, stabilendo un confronto con la Commedia di Dante, considerata non alla stregua di un capolavoro remoto, confiscato da cenacoli di eruditi o dai seguaci dell’encomio fuorviante, bensì come il testo per eccel- lenza della letteratura nazionale, da interpretare tuttora nell’epoca odierna, così scevra di palpiti ideali. In tal senso, come in Due imperi… mancati di Aldo Palazzeschi, Aliberti inserisce la Preghiera alla Vergine poco dopo l’incipit, riscoprendo nei canti del sommo poeta il loro valore diuturnamente anagogico. In un’ottica di estetica della ricezione, mi preme sottoli- neare che il romanzo di Aliberti riveste un signifi- cato edificante proprio in un’epoca che ha spesso smarrito la propria bussola etica.
JEAN IGOR GHIDINA
BLAISE PASCAL UNIVERSITY–FRANCIA