Carissimo Nino, finalmente ricevo proprio ora il tuo bel libro e sono veramente felice di coprirti attento entomologo di canti popolari molto originali e che ci riportano attualissimi la voce dei nostri avi che a squarciagola continuano a cantare nel nostro cuore sublimi versi musicali di viscerale amore o la bruciante sofferenza, pregna di speranza dell’innamorato che sembra voler strappare al buio del silenzio la sua Euridice, come Orfeo. Una grande lezione di amore per una vita, intensamente vissuta, all’insegna della paziente fatica, coltivando anche durante il duro lavoro dei campi o gli allegri balli nell’aia o nelle serenate alla donna desiderata da sposare, sotto il bianco splendore lunare con espressioni poetiche spontaneamente assonanzate, accompagnate dal suono dell’organetto contadino, e con martellante soavità di canto che dolcemente riecheggia nelle valli vicine e acutamente sembra perforare il cielo, traferivano la loro gioia di voler amare, infiorettando la donna con ornamentali espressioni e con armoniosi contorcimenti verbali e musicali. Un vero breviario di vita, illuminata anche nei momenti più fragili, da un’alta lezione di vita. Ma il prezioso lavoro di Motta non si sofferma solo nel modo di sentire l’amore nel mondo contadino del territorio di Bafia, ma incornicia tale sentimento nella sua sorgente purezza,che diventa la base fondamentale della famiglia, valore suprema per quella gente semplice,che era legata all’Essere senza considerare l’avere. Il volume è ben strutturata come un viaggio nell’incantato universo contadino delle contrade della sua terra che ha sempre amorevolmente custodito nel sacrario del proprio cuore nei duri anni di lontananza dalla sua Sicilia,ma si estende alla compartecipazione ideale a miserevoli eppure vitalistiche condizioni di vita,ancora depositaria del DNA impregnato di elevate e nobili espansioni d’amore per tutte le cose create. Purtroppo, i luoghi della realtà contadina in cui Motta ha compiuto le sue ricerche,si erano già molto spopolate, a causa del consumismo che ha capovolto le modalità esistenziali di un’epoca,imponendone altre,che attrassero i contadini del Sud e particolarmente delle campagne siciliane che erano soffocate,anzi schiavizzate da padroni tiranni ,e in massa partirono verso orizzonti fatui. Si creò una cultura di massa,senza alcuna identità creaturale,tanto da far di8re aPasolini,molto deluso: “I valori della cultura arcaica e contadina sono stati distrutti e io piango sulla distruzione di questi valori, ma non tanto perchè sono stati distrutti,ma quanto perchè sono stati sostituiti da altri valori che per me sono negativi,cioè i valori del consumismo. Oggi aggiungerebbe dalla globalizzazione. Ma finchè,come ha fatto il prof,giornalista stimatissimo, l’uomo è capace di custodire e capire nella loro semplice profondità, la soavità dei canti popolari come questi,definiti dall’autore,”VOCI PERDUTE”, l’uomo contemporaneo potrà disintossicare il proprio sangue e la propria anima dalla pandemia del Male e ritrovare il percorso etico smarrito nella melma di questi diabolici anni. Nino Motta, recupera dallo sfaldamento tecnico-lirico anche la canzone popolare religiosa,spesso palpitante documento di vita morale e spirituale. Su tale linea ideale,Motta individua i continuatori della poesia popolare,nata nei secoli XIV-XV sec.,nei cantastorie che si fermavano nei paesi e nelle piazze, accompagnati da strumenti musicali, intonavano i oro canti ,ora murati in cantastorie, che si servivano anche di cartelloni su cui erano raffigurate le scene più salienti del racconto cantato. tra i cantastorie più famosi e,purtroppo,tra gli ultimi,fu Orazio Strano di Riposto (CT), ancora vivo nella memoria dei più anziani,soprattutto con la canzone della vita di Salvatori Giuliano..Solo nella seconda metà dell’Ottocento,i testi ancora sopravvissuti al logoramento temporale e storico, furono raccolti in volume e ben custoditi in Centri specifici,come a Palermo la Fondazione del Pitrè. Oggi, se si vuole sentire riecheggiare qualche frammento di canto popolare adeguato al gusto del tempo, bisogna seguire gli spettacoli dei gruppi folcloristici,tra cui quello de I SICANI di Bafia,che aveva come canto di punta il canto dell’arrivo di Garibaldi in Sicilia,Sicilia badda,Sicilia mia, A Maiarìa e “Il canto dell’abbandono”, che potrebbe segnare la fine dei canti d’amore popolari.

CARMELO ALIBERTI | 14:44 (6 ore fa) | |
Carissimo Nino,finalmente ricevo proprio ora il tuo bel libro e sono veramente felice di scoprirti attento entomologo di canti popolari molto originali e che ci riportano attualissimi la voce dei nostri avi che a squarciagola continuano a cantare nel nostro cuore sublimi versi musicali di viscerale amore o la bruciante sofferenza, pregna di speranza dell’innamorato che sembra voler strappare al buio del silenzio la sua Euridice, come Orfeo. Una grande lezione di amore per una vita, intensamente vissuta, all’insegna della paziente fatica, coltivando, anche durante il duro lavoro dei campi o gli allegri balli nell’aia o nelle serenate alla donna desiderata da sposare, sotto il bianco splendore lunare con espressioni poetiche spontaneamente assonanzate, accompagnate dal suono dell’organetto contadino, e con martellante soavità di canto dolcemente riecheggia nelle valli vicine e acutamente sembra perforare il cielo, si espandeva con la gioia di voler amare, infiorettando la donna con ornamentali espressioni e con armoniosi contorcimenti verbali e musicali. Un vero breviario di vita, illuminata anche nei momenti più fragili, da un’alta lezione esistenziale. Ma il prezioso lavoro di Motta non si sofferma solo nel modo di sentire l’amore nel mondo contadino del territorio di Bafia, ma incornicia tale sentimento nella sua sorgente purezza, che diventa la base fondamentale della famiglia, valore supremo per quella gente semplice, che era legata all’Essere, considerando l’avere solo come mezzo di sussistenza. Il volume è ben strutturato, con canti popolari lirici e monostrofici in endecasillabi,che strutturano distici,tetrastici, sestine,ottave, canzune,ancorate a temi tradizionali,l’amore,la gelosia,la fortuna,la satira,la protesta sociale,la poesia religiosa,i lamenti funebri,canti epicolirici polistofici,storie,orazioni,scongiuri, le ninne nanne, tutto un materiale poetico,indicativo della perduta civiltà contadina. Ma,a questo punto,per non far morire la storia interiore di quella limpida civiltà, il prof. Rigoli, che seguì sapientemente Motta nella stesura della tesi di laurea,aveva ideato una innovativa metodologia didattica, imperniata su ricerche in “studio” e ricerche “Sul campo”,cercando di coinvolgere “giovani di buona scuola” per operare ricerche dal “vivo”, cioè dare voce al protagonismo del registratore, per fissare nel tempo le voci vive e le musiche tradizionali che,in tal modo,non sarebbero disperse,ma avrebbero lasciato vive le emozioni,i suoni e il canto popolare nello sviluppo della civiltà, come documento ineludibile per ogni etnostoria della Comunità e dei contesti di pertinenza. La Tesi di Nino diventò testimonianza ed elogio della memoria del passato, trattata da Motta come lavoro di ricerca di innovata attualità. In tale contesto, l’autore va oltre e si cimenta con il difficile strumento delle varianti, cioè nella comparazione tra le diversità di uno stesso canto in contesti antropologici e culturali diversi. Ciò lo portò a scavare nelle opere di grandi studiosi,come il Pitrè,il Marino ,Salomone, il Vigo,il Cannizzaro,ma anche contadine semianalfabete, un lavoro di certosina ricerca come un viaggio nell’incantato universo contadino delle contrade della sua terra che ha sempre amorevolmente custodito nel sacrario del proprio cuore nei duri anni di lontananza dalla sua Sicilia, ma si estende alla compartecipazione ideale a miserevoli eppure vitalistiche condizioni di vita,ancora depositaria del DNA impregnato di elevate e nobili espansioni d’amore per tutte le cose create. Purtroppo, i luoghi della realtà contadina in cui Motta ha compiuto le sue ricerche,si erano già molto spopolate, a causa del consumismo che ha capovolto le modalità esistenziali di un’epoca, imponendone altre, che attrassero i contadini del Sud e particolarmente delle campagne siciliane che erano soffocate, anzi schiavizzate da padroni tiranni ,e in massa partirono verso orizzonti fatui. Si creò una cultura di massa, senza alcuna identità creaturale, tanto da far dire a Pasolini, molto deluso: “I valori della cultura arcaica e contadina sono stati distrutti e io piango sulla distruzione di questi valori, ma non tanto perchè sono stati distrutti, ma quanto perchè sono stati sostituiti da altri valori che per me sono negativi, cioè i valori del consumismo. Oggi aggiungerebbe dalla globalizzazione. Ma finchè, come ha fatto il prof, giornalista stimatissimo, l’uomo è capace di custodire e capire nella loro semplice profondità, la soavità di canti popolari come questi, definiti dall’autore ,”VOCI PERDUTE”, l’uomo contemporaneo potrà disintossicare il proprio sangue e la propria anima dalla pandemia del Male e ritrovare il percorso etico smarrito nella melma di questi diabolici anni. Nino Motta, recupera dallo sfaldamento tecnico-lirico anche la canzone popolare religiosa, spesso palpitante documento di vita morale e spirituale. Su tale linea ideale, Motta indica i continuatori della poesia popolare, nata nei secoli XIV-XV sec.,nei cantastorie che si fermavano nei paesi e nelle piazze, accompagnati da strumenti musicali, intonavano i loro canti ,ora murati in cantastorie, che si servivano anche di cartelloni su cui erano raffigurate le scene più salienti del racconto cantato. tra i cantastorie più famosi e,purtroppo gli ultimi, furono Orazio Strano di Riposto (CT), ancora vivo nella memoria dei più anziani,soprattutto con la canzone della vita di Salvatori Giuliano..Solo nella seconda metà dell’Ottocento,i testi ancora sopravvissuti al logoramento temporale e storico, furono raccolti in volume e ben custoditi in Centri specifici,come a Palermo la Fondazione del Pitrè. Oggi, se si vuole sentire riecheggiare qualche frammento di canti popolari adeguati al gusto del tempo, bisogna seguire gli spettacoli dei gruppi folcloristici,tra cui quello de I SICANI di Bafia,che aveva come canto di punta il canto dell’arrivo di Garibaldi in Sicilia,lo stupendo inno alla Sicilia badda,Sicilia mia, A Maiarìa e “Il canto dell’abbandono”, che potrebbe segnare la fine dei canti d’amore popolare.![]() |