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L’URLO E LA PREGHIERA DEL POETA ALIBERTI A DIO AFFINCCHE DISTRUGGA LA RADICE DEL MALE a cura di Giorgio Barberi Squarotti e Cristina Saja

CARMELO ALIBERTI
La poesia di Aliberti espressa con un linguaggio
metaforico ed espressionistico fino al grido e alla visione
di GIOIRGIO BARBERI SQUAROTTI
C’è una sicura costanza nella vicenda poetica di Aliberti nel lungo arco di circa 50
anni, ed è fortemente riservato e distintivo della sua ricerca: la passione morale e
politica sempre espressa con un linguaggio aspramente espressionistico nella varietà
ricchissima e singolare e originale delle metafore, tese fino all’estremo del grido e
della visione. E’ una voce fortissima quella di Aliberti,che riporta la poesia al suo ruolo
originario di preveggenza e di amplificazione del grido di disperazione degli
invisibili,con l’obiettivo di riscatto delle plebi dimenticate,con il riconoscimento della
loro dignità umana,sempre ignorata o negata nei secoli.

Giorgio Bàrberi Squarotti (Torino, 1929-2018) è stato un critico letterario e poeta
italiano. La sua scomparsa ci ha rubato un grande maestro,illuminante guida per
diverse generazioni. Fu sempre disponibile a sostenere poeti e scrittori validi che
ricorrevano al suo sostegno,ma la sua vocazione culturale e il costante impegno

dell’intera sua vita la dedicò agli studi e alla valorizzazione di scrittori e poeti
dimenticati o ignorati, e approfondimenti delle opere dei cosiddetti Grandi,non
indagati sufficientemente.
RACCOLTE DI POESIE: La voce roca, La declamazione onesta, Finzione e dolore, Notizie
dalla vita, Il marinaio del Mar Nero e altre poesie, Dalla bocca della balena, In un
altro regno, La scena del mondo, Dal fondo del tempio, Le vane nevi, Le Langhe e i
sogni Il gioco e il verbo, La storia vera, I doni e la speranza, Gli affanni, gli agi e la
speranza, Le foglie di Sibilla, Lo scriba delle stagioni, Il giullare di Nôtre-Dame des
Neiges.SAGGI: Astrazione e realtà, Poesia e narrativa del secondo Novecento,
Metodo, stile, storia, La poesia italiana contemporanea dal Carducci ai giorni nostri,
La narrativa italiana del dopoguerra, Pagine di teatro, Teoria e prove dello stile del
Manzoni, La cultura e la poesia italiana del dopo guerra. La forma tragica del Principe
e altri saggi sul Machiavelli, Simboli e strutture della poesia del Pascoli, Camillo
Sbarbaro, Il gesto improbabile. Tre saggi su Gabriele D’Annunzio, L’artificio
dell’eternità. Studi danteschi, Il codice di Babele, Manzoni. Testimonianze di critica e
di polemica), Gli inferi e il labirinto. Da Pascoli a Montale, Poesia e ideologia
borghese, Fine dell’idillio. Da Dante a Marino, Le sorti del tragico. Il novecento
italiano: romanzo e teatro, Il romanzo contro la storia. Studi sui Promessi sposi,
Dall’anima al sottosuolo. Problemi della letteratura dell’Ottocento da Leopardi a
Lucini Giovanni Verga. Le finzioni dietro il verismo, Invito alla lettura di Gabriele
d’Annunzio, Il potere della parola. Studi sul Decameron, La poesia del Novecento.
Morte e trasfigurazione del soggetto, L’ombra di Argo. Studi sulla Commedia, L’onore
in corte. Dal Castiglione al Tasso, La forma e la vita. Il romanzo del Novecento,
Machiavelli, o La scelta della letteratura, Manzoni. Le delusioni della letteratura, Il
sogno della letteratura, In nome di Beatrice e altre voci, Le maschere dell’eroe.
Dall’Alfieri a Pasolini, Le colline, i maestri, gli dei, La scrittura verso il nulla:
D’Annunzio, Il sogno e l’epica, Il viaggio di liberazione attraverso l’Inferno, Parodia e
pensiero: Giordano Bruno, Le capricciose ambagi della letteratura, L’orologio d’Italia.
Carlo Levi e altri racconti, Addio alla poesia del cuore, I miti e il sacro. Poesia del
Novecento, Il tragico cristiano da Dante ai moderni, Ottocento ribelle, La teoria e le
interpretazioni, Le cortesie e le audaci imprese. Moda, maghe e magie nei poemi
cavallereschi, La letteratura instabile. Il teatro e la novella fra Cinquecento ed età
barocca, Il pipistrello a teatro. Pirandello, narrativa e tragedia, La farfalla, l’anima.
Saggi su Gabriele d’Annunzio narratore, Il sistema della narrativa. Gli autori del
Novecento: saggi critici, La poesia, il sacro e il patinoire. Saggi su Gozzano e Pavese,
Sestri La cicala, la forbice e l’ubriaco. Montale, Sbarbaro e l’altra Liguria, Sestri Le
donne al potere e altre interpretazioni. Boccaccio e Ariosto, Entello, Ulisse, la
matrona e la fanciulla. Saggi su Saba e Campana, Tutto l’Inferno. Lettura integrale

della prima cantica del poema dantesco, L’ultimo cuore del novecento. Paesaggi per
la poesia
La letteratura ha avuto sempre (o, almeno, fino a questi ultimi tempi) come solida
stanza che resiste nel trascorrere della storia vincendone gli orrori e gli errori e le
vanità e le illusioni, figure esemplari, perché sapienti della parola, esperti, ben
consapevoli della scrittura dalle origini classiche ed ebraiche fino alla
contemporaneità e, al tempo stesso, curiosi e attentissimi della novità del discorso,
delle esigenze dell‘età e dei mutamenti, pronti a reagire con lo strumento della
poesia, alle distorsioni e ai tradimenti delle mode e delle oppressioni, nell’armonia
ben misurata tra liricità e morale. Certamente Carmelo è uno dei modelli più preziosi
che ci accompagnano e ci sostengono: poeta lirico e narrativo, concettuale e
polemico, e critico attento per l’interpretazione più specifica degli autori della sua
regione letteraria che è, poi, grande non soltanto per dimensioni, quanto per lo
spazio fondamentale che occupa nella nostra letteratura lungo i secoli, dai rimatori
siciliani, a Verga, Pirandello, Consolo, Bufalino, Tomasi di Lampedusa, Ripellino e
tanti altri ancora a me tanto cari e da me riveriti ed applauditi. Una delle
caratteristiche della poesia di Aliberti è la compresenza della rievocazione e del
rapporto con le voci dei poeti antichi (i classici in particolare) e contemporanei della
vita, della storia, delle trasformazioni della società, dello scontro tra le aspirazioni e
le emozioni della vita e le oppressioni del lavoro, degli sradicamenti dalle origini, dal
rigore arido e meccanico della tecnologia. Aliberti guarda alla grande contraddizione
della esistenza, nella necessità del lavoro per vivere e della vita che, di conseguenza si
dissecca, si cancella, e tutto quello che rimane è il retaggio della tecnologia, altre
macchine nelle case a cui servire per tentare (ahimè non per la gioia vera, ma per la
luce dell’anima), di non vedere e non sentire l’angoscia e l’oppressione. C’è una
sicura costanza nella vicenda poetica di Aliberti nel lungo arco di circa 50 anni, ed è
fortemente riservato e distintivo della sua ricerca: la passione morale e politica
sempre espressa con un linguaggio aspramente espressionistico nella varietà
ricchissima e singolare e originale delle metafore, tese fino all’estremo del grido e
della visione. Proprio per tale scelta Aliberti si avvale di una lunghissima serie dei
nomi della sua geografia siciliana, e in questo caso è il suono a diventare l’eco
efficacissima di messaggi. Al linguaggio raffinato e calcolatissimo si unisce il possente
risonare della topografia dove il poeta scrive o a cui guarda o che ricorda come spazi
percorsi o amati o immaginati o conosciuti sull’atlante del segno o dalla curiosità del
mondo. Pochi sono i componimenti di Aliberti che rimangono raccolti dentro la liricità
contemplativa, descrittiva, amorosa: sono quelli dei primi tempi della sua esperienza
e delle sperimentazioni poetiche e appena qualche segno si ritrova in tempi
successivi, degli anni successivi, degli anni novanta e intorno, quando si volse alle

memorie d’affetti e di incontri, con le manifestazioni di momenti di vita che pure
l’hanno nutrito, aiutandolo a non cedere o all’elegia o a parlare sempre delle verità
della storia per il tramite della bellezza della parola. Penso ad un componimento
splendido per ampiezza e sapienza, di respiro e di immagini come “Aiamotomea”,
dove i luoghi attraversati dalla poesia diventano mito e i miti antichi a loro volta si
concretano mirabilmente nel percorso della vita e del pensiero. Un altro aspetto della
poesia di Aliberti è la costruzione frequentissima del poemetto, anche molto ampio.
E’ sì, il caso di Itaka, che l’autore chiama dramma lirico, ma tanto lirico non è, quanto
piuttosto visione e avventura di immagini e di riflessioni, con la tensione estrema
sempre delle metafore e delle congiunzioni di attualità e di tradizione, di nomi
terragni e petrosi della Sicilia e di dichiarazioni di poetica ed echi d’altri poeti con i
quali raffronta la sua creazione. Itaka è il futuro, in quanto è la durata della poesia. Il
dramma lirico si sostanzia soprattutto di pensiero e di fervidissimi accordi di
metafore, nervosi e solari (sulla lama del lido, frangiflutti delle nuvole, ghirlande
insanguinate delle città sgomente. “ Il tuo risveglio”, tanto raffinato e prezioso, il
poemetto è in undici lasse, nell’aspirazione ottimamente raggiunta , di raccogliere la
totalità delle esperienze del passato (la Scuola per esempio) e dei passaggi ricuperati
e riesposti nella rievocazione della poesia, dalle lotte morali e del sogno vivo dei
sentimenti (la lassa X, altissima, sublime), dalla conversazione con altri poeti e altra
poesia, dall’ascensione alla cosmicità, delle metamorfosi continue dei punti di vista,
concreti o ideali, attuali e utopiche e sempre tuttavia le rappresentazioni sono
sommosse dalla metafora impreveduta, fulminante e rivelativa. La misura tipica della
poesia di Aliberti è, appunto il poemetto scandito in lasse di diversa ampiezza. Forse
proprio per questo il poeta mescola le date di composizione dei testi, che pure
sarebbe stata canonica: importa la costanza del metodo e della struttura, perché la
varietà del discorso e dell’annodamento delle metafore è sostenuta dallo spazio
grandioso della predicazione e della rappresentazione poetica. Guardo con
partecipazione appassionata alle quattordici lasse; ”Il mattino scalpita”, alle dieci di
“Sul Pino”, alle sei di “Una scimitarra” ( più breve, ma è uno dei testi più concentrati e
intensi, sia per alacrità di pensiero e ricchezza di metafore, nella reinvenzione dei
passaggi e delle stazioni),alle dodici di “Tra ombre balzo”, dove il paesaggio amato e
contemplato viene dolorosamente scoperto nelle ferite della violenza delle
speculazioni e delle offese della bellezza è l’unica capace, non di riscattarla, ma
almeno di rivelarla come l’effetto del male dell’economia, delle oppressioni, dalla
servitù, alla schiavitù del potere e del guadagno.La dodicesima lassa di questo
poemetto è una sigla efficacissima per questo strenuo confronto tra la visione e la
realtà:
”Sul filo spinato dei miei versi

il Vento dell’Etna trascina
il tuo lamento sassoso
mentre consumo il mio dissenso
sulla storia incestuosa”.
Tocca al poeta esprimere il suo rifiuto della storia che va verso un futuro di sconfitta
e di delusione, di tetra accettazione del poco ben benessere e di impoverimento
dell’anima nel disfarsi del bene di un tempo, della natura che adesso soltanto la
parola poetica può rievocare, con tanta più efficace varietà di immagini, quanto più
se ne avverte la precarietà. Il poemetto “C’è una terra tra l’Etna e il mare” nelle sei
ampie lasse aggiunge a alla invocazione e alla reinvenzione del paesaggio amato, con
tutti i nomi favolosi ed enigmatici i personaggi della doppia identità della nostra
storia, la memoria delle lotte e delle nostre aspirazioni al futuro e alla liberazione e
dalle oppressioni economiche e morali. E gli aspetti dell’attualità, della moda e della
finta ricchezza che si concreta nelle macchine della tecnologia, pagato con il lavoro
coatto e senza soddisfazione. Certamente la poesia di Aliberti è poesia civile, ma
l’originalità è nella sollecitazione del discorso contro la brutta copia della realtà,
come fu in passato, e ogni tanto compare anche in questi tempi) che è lezione ed
exemplum capace di giungere a tanto, con l’incisiva creatività delle metafore. I miti
antichi che Aliberti evoca, spesso diventano i nuovi della nostra storia malata e della
passione di riscatto e di protesta. E’ davvero tanto, tantissimo.

GIORGIO BARBERI SQUAROTTI

Cristina Saja PREFAZIONE
Di CRISTINA SAJA

“Tra il bene e il male”: per raccontare le brutture del mondo, conservando storia,
memoria e amore.
Una preghiera, un saluto accorato, un dono di inestimabile valore per chi,
privilegiato, discende da un poeta. “Tra il bene e il male”, ultimo poemetto ancora
inedito di Carmelo Aliberti è Agàpe per il mondo intero. Con estrema semplicità
sintattica il poeta e critico di Bafia riesce ad emozionare chiunque si accosti alla
lettura dell’ultimo dei suoi scritti che, sin dagli albori della sua carriera,sono sempre
stati una fonte da cui attingere storie antiche, memoria e morale riuscendo a
scorgere e trovarsi tra le mani la forza per tornare a galla in quel mondo così ostile
che oggi ci appare più che mai liquido. La trasmissione della generazione avviene nei
primi versi del poemetto, in cui Aliberti si mostra‘nudo’ davanti alle uniche creature
al mondo che gli infondono gioia e speranza: i suoi dolcissimi nipotini. Così, in
un’epoca in cui, ai genitori è impossibile sempre più lasciare lasciti materiali per via
delle brutture del mondo, i nonni riescono a dare ancora un’altra lezione di vita che si
traspone nell’essenzialità della continua zione delle generazioni future. Se nulla di
materiale si può donare, possiamo noi donarci ai pargoli attraverso il nostro sapere,
la nostra esperienza e la nostra conoscenza. Quello di Aliberti è l’ennesi mo esempio
di come un poeta prima, un maestro dopo ha una soluzione che discen de
direttamente dai suoi sentimenti e dalla sua sensibilità, la dote più elegante di cui si
può vestire l’intelligenza. La più autentica eredità consiste, quindi, nel modo in cui
abbiamo fatto tesoro delle testimonianze che abbiamo potuto riconoscere dai nostri
avi. Da questo punto di vista ogni figlio deve interiorizzare che il destino di erede è
quello di essere anche orfano – come l’etimologia greca, mostra: erede viene dal
latino heres che ha la stessa radice di cheros, che significa deserto, spoglio, mancante
e che rinvia a sua volta al termine orphanos. Così l’orfano, come il nipote senza il

nonno, quando lo sarà, diverrà il giusto erede, colui che non si limita a ricevere ciò
che gli avi gli hanno lasciato. Piuttosto, deve compiere, come direbbe Freud
attraverso Goethe, un movimento di riconquista della sua stessa eredità: “ciò che hai
ereditato dai padri riconquistalo se lo vuoi possedere”. In questo senso l’eredità
autentica implica un movimento attivo del soggetto più che una acquisizione passiva.
Qui il poemetto diventa un pretesto, un libretto d’istruzioni, una buona base di
certezza e sapienza da poter mettere in atto. Quindi cosa si eredita se non si eredita
un Regno, se non si è figli di Re? La trasmissione del desiderio da una generazione
all’altra, nient’altro che il modo con il quale i nostri padri hanno saputo vivere su
questa terra provando a dare un senso alla loro esistenza; il modo con il quale i nostri
padri hanno dato testimonianza del loro desiderio, ovvero che si può vivere con
slancio, con soddisfazione, dando senso alla nostra presenza nel mondo. Nella
seconda parte del poemetto, l’autore cambia gli stakeholder e si rivolge ai lettori
come al mondo intero, all’individuo come a Roma e al Divino Cieco per parlare della
Provvidenza e instillare nel cuore di ciascuno che è in balia di fiabe e brutture, il senso
fermo del “credere”. Religione oppure no, la credenza e la mistificazione sono parti di
noi stessi che non vanno eluse mai, né soffocate dal fluire inquieto dei giorni e
mischiate a quegli occhi ‘nuovi’ che vedranno meraviglie, nel territorio in cui si
trovano. Ecco allora affiorare il territorio: la rocca Salvatesta, il torrente del Patrì e
moltissime altre sfaccettature.
E come cancellare con un colpo di spugna
Turi Coddulongu, sbandato di guerra,
con il boato delle armi dentro il cuore,
gli occhi accecati dalle bombe,
la mente incapace di capire
che era un cimitero di stragi e di dolore
il mondo intorno a cui ruotava
appeso nel vuoto ad un aereo nemico
con la corda d’acciaio attorno al collo.
Turi tra urla infuocate di tormento,
turbinava con girandole del corpo

in sintonia con il boato dei motori
sferzati da turbine rapinose
L’incipit della dedica a “Turi Coddulongu” con cui si chiude il poemetto giova, poi, a
trovare la chiave della‘traduzione’ di quel gesto. Scrivere il poemetto è stata
un’esigenza per cantare gesta, storia, uomini di valore e lasciarle impresse nella
“memoria”. Che sia di un bambino o una bambina, di un improbabile lettore o dei
discendenti di Turi, il poemetto non è che un’esortazione al coraggio attraverso
l’amore.“Omnia vincit Amor” è un ritornello che torna spesso come sfondo agli scritti
di Aliberti e non poteva mancare in questo caso, in cui poetica e sentimento si
fondono in un più ampio e più puro intento, quello di rimanere al fianco di chi ancora
in primavera allieta e scalda le giornate autunnali di un mondo che sa di inverno e
sentimenti liquidi.Il rimedio sta tutto qui: “Tra il bene e il male”, trovare sempre il
giusto equilibrio e farsi guidare dall’insostituibile valore della fede che salva e nutre
la forza del desiderio senza la quale la vita appassisce e ci regala un messaggio di
ineguagliabile valore: respirare l’amore in famiglia insegna l’amore nella vita.
TRA IL MALE E IL BENE
POMETTO INEDITO DI CARMELO ALIBERTI
AI TEMPI DEL COVID

               
Miei dolcissimi Piccini,
oggi è il nonno che vi scrive

e con questa pagina gocciolante d’amore,
mentre il seme della catastrofe
gira l’angolo abbracciato alla bora
ed io avvelenato vi sorrido
per distrarvi dallo sguardo
delle sequenze di immagini spettrali
che i telegiornali e le rassegne stampa
ci propinano come medicine curative
e invece sconvolgono la mente
e l’ingenuo cuore  popolare,
lasciandoci sgomenti
e vorticanti sulla cima delle scale
in vertiginosi capogiri di paure
ingolfate in desertici pensieri,
che  inchiodano al dubbio doloroso
se scendere, salire o rimanere
sull’orlo delle ombre delle scale
che io mi sforzo a trattenere
per impedirvi di vederle in fondo
perché la ferita potrebbe insanguinare
del tutto corpo e anima,
a tutti noi,a voi,
che avete ridato forza alla mia fine.

Prima della scalata  alle alte cime
Illuminate dal cielo cristallino,
vorrei ancora sostare accanto a voi
per donarvi lunghi attimi di gioia,
raccontandovi  fiabe a lieto fine
e rivelarvi che il mostro in agguato
nel cuore,nel sangue e nei pensieri
è stato abbattuto dagli strali mortali
del piccolo David, eroe minuscolo
degli eroi sul pianeta
e di altre pargole vite, come voi
che con giochi  simulati al nascondino
o con altre dinamiche invenzioni mobili
riuscite a stimolare ancora
giorni di festa tra di noi.
Mentre trascorriamo ore liete
Accucciati vicini e attenti al nitore
di acrobazie intelligenti
io imparo dalle capriole
della vostra luminosa mente
e mi illumino  di gioia,
quando chiedete di scrivere
i vostri desideri di doni natalizi

a Babbo Natale  sotto l’albero
o accanto alla capanna del Bambino
tremante sulla paglia per il gelo.
Spesso volete sentire la storia
di Babbo Natale e del bambino
ed io non so come
spiegarvi con chiarezza
che Giuseppe è il padre putativo.
Del Bambino che ride sulla paglia.
Per voi Dio è  parola incomprensibile
ed io forse potrò essere più chiaro
quando torneremo ad essere vicini
nella città dell’eterna armonia
nella dimora d’oro del grande Padre,
sempre in attesa sulla soglia
con un concerto di Angeli
che sventolano trecce di ulivo
come fratelli nel suo caldo nido,
e parlerete con un Bambino tremante

sulla paglia che  riscalderete
con il fiato di domande affettuose

e nel dialogo ci farete sentire
il sentimento di essere fratelli.
Beato sarà quel giorno assai lontano,
sarà il primo della  Gioia vera
quando potremo cancellare
le stimmate che ci hanno angosciato
nel fango insanguinato della terra.
2 )
Ci hanno  estirpato dalle  labbra spente
mentre seduti sul pavimento sorridenti
impegnati nei segreti  dialoghi
di Mascia e Orso,
vostri veri fratelli,
e magiche esultanze vibrano
nel dolce suono della vostra voce

che ripete  lezioni di affetti familiari
ai suoi scolari immersi nei sogni
d’amore e di reciproco soccorso
più spontaneo del gelido egoismo  della
stirpe umana.
Un boato di fuoco esplode
sulle nostre labbra assiderate

e il ciclone d’agosto ci ridesta alla vita
inchiodati stupefatti e pronti
ad accarezzarvi gli occhi sorridenti.

3)
Il mio giorno che incomincia ad annottare
mi trattiene ancora sul ciglio del tramonto
per portarmi dentro la notte buia
l’incanto eterno dei vostri cinguettii.
Se la luce del giorno occhieggerà ancora
dietro i rami velati dei cipressi

sarà il più bel regalo ai nostri anni
che vedono solo scorrere la vita
nei laghi limpidi delle vostre ciglia
balbettanti di luce e di speranza.
Festeggerete ancora con papà e mamma
i  compleanni, e noi vi saremo lieti accanto
mentre soffiate sulle candeline
gli anni che scorrono e si disperdono
con la  fiamma che cerca  nell’aria
i vostri  sogni.
Noi saremo già  illuminati

dentro la stella polare,dopo la partenza
dal pianeta popolato non più da uomini
ma da bruti, che ci hanno strappato
dagli occhi e dalla gola
il germe del sorriso, che dolcemente
vi accoglieva con la parola Gioia
quando uscivate rossi di allegria

stringendovi la mano,e correvate
insieme tra le mie aperte braccia
mentre io sussurravo bisbigli d’amore
per voi con il cuore avido di tenerezza:
e tornavamo in fretta dalla mamma
che era in attesa ansiosa sulla soglia
per trattenervi nelle sue calde braccia
che illuminavano di eterna primavera
anche i plumbei giorni dell’inverno.
Ci hanno tolto la gioia di morire
tra la dolcezza dei vostri sguardi
addolciti dalle nostre carezze
Ci hanno relegati come bruti
nel ghetto dei relitti umani
in pasto agli avvoltoi e alle iene

con la soluzione finale dei tiranni.
Ci  hanno ridotto a un lume spento
con il viso stremato negli escrementi

dei cani dei potenti che tappezzano
le vie  di cadaveri truciolati
lentamente da vermi puzzolenti.
I farisei e i pubblicani  profanano
ancora le pareti del Tempio
con tappeti  d’oro
e nell’agorà vendono bugie edulcorate
per proseguire a torturare con soprusi
violente bestemmie e rappresaglie
nel retrobottega  del sacrario
il libero pensiero di chi vuole vivere
con il soave Dio nel cuore e nella mano
Nel tempio di Demetra fingono il peana
attorno al sarcofago del caro amico ucciso
e insozzano l’Agàpe divina
con l’insulsa lingua di peccato.
Ora la maniacale febbre del potere
ha trascinato  il mostro  umano nel girone

fetido del Male più profondo
con carica di ordigni distruttivi,
nascosti nello zaino del pane:
nei gloriosi musei  piangono
solo gli eroi morti con i droni
della guerra invisibile
che ha devastato la bellezza delle mura
violentate del cuore  sanguinante nel petto:
i ristoranti sono fumosi e affollati
di veleni, di  ventri avidi di sesso.
Le metropolitane sono chiuse ai vagabondi
e alle puttane che vendono la carne
per tre monete d’oro di mangime.
I campi sportivi, le sinagoghe e le pievi,            
dove il vecchio prete  venne sgozzato
dall’impietoso coltello dell’apostata,
mentre chiuso nel silenzio dei peccati
protendeva ai credenti e miscredenti

l’adorata pisside dorata, e ogni labbro
affondava nel sangue che scorreva
dai sacri gradini dell’altare
come il sangue purissimo del Giusto

caduto nel Tempio ai piedi dei mercanti
abbagliati da un altro paradiso
affollato di piaceri, di ninfe avide e di sante
poligame e  vergini devote
al nettare satanico di Eros
avvelenato  da occulte  mani .
Ma i porci di Circe come ubriachi
non conoscono la  selenica dolcezza
del morbido seno della madre
e il pianto del bambino
che succhia il nulla al capezzolo
di misere, schiacciate dalla fame
dall’empio piede sopra il volto
di chi ignora perché vivere o morire,

e distrugge l’azzurro  del Creato,
dono catartico di un dio sconosciuto
profumato nell’anima deserta
dove fiorisce  la radice  del sole
e  la vetta zigrinata  della luce d’oro
che oscilla senza quiete,
tra lo squarcio  invisibile del male
e il mare frizzante dell’ oro di ogni bene,

dinnanzi al libero arbitrio stuprato.
Oh! Nostro Caro Vecchio Dio di Abramo
che osservi  da un pertugio dell’ignoto
i nostri passi incerti, vacillanti verso il buio
della valle sperduta nella siepe
fiorente di spine avvelenate,
Dio della vita, dell’acqua e del fuoco
adorato per secoli  dagli avi,
eroe primiero di ogni  fede
pronto a folgorare il seme amaro,

per noi  agnelli violentati
con l’ansia del tuo perdono sulle labbra,
                                                                                              Ti supplico, con le
ciglia folgorate,
non rimanere indifferente
alle stragi  selvagge consumate
tra fratelli sul proscenio della Tua bellezza.
Dio paterno misericordioso e giusto,
DIO  UNICO di tutti noi, miseri mortali
ciechi,ma ricchi di  fede e sperduti
nel rosso deserto del nostro cimitero
inumati dal male,tuo nemico.
Tu, DIO-Soldato PACIFISTA

che consoli le pie donne oltraggiate
con creature in grembo
e i figli tuoi soldati torturati
dalle  guerre con Caino.
Tu, Padre Santo dei nostri pensieri,
Suprema creatura di paradiso e Amore

per le mansuete pecore di diverso colore
Tu, che hai creato  il Bene
e il Male che non ti appartiene
ma è il correlativo oggettivo eliotiano,
cartina di tornasole del tuo splendore
che hai accolto  tra le braccia spalancate
lacrime e urla di odio e di guerre,fraterne
nella storia, e custodisci ancora
devotamente il mondo gocciolante di fiele
che barbaramente si accanì sul vecchio prete
con la bianca colomba svolazzante sul capo
e il ramoscello d’ulivo stretto in mano,
mentre si sentiva vicino  al grande volo ,
aggrappato al Crocifisso che piangeva
segretamente il suo pastore
immerso nell’ascetica preghiera,

congiunto a te, invocato a perdonare,
ora che assistiamo al massacro

nelle famiglie, dove i figli-Giuda
sgozzano i padri aggrappati al crocifisso,
per implorare perdono,
come Tu, Spirito Santo e Dio,
sul Golgota  inchiodato e insanguinato
con ferri di fuoco nelle vene,
come il Pellicano per amore
donò il suo cuore da mangiare
ai suoi implumi pargoli affamati
sul punto di morire,
Tu, anche Tu, fratello Cristo trafitto
nella gola con il sangue raggrumato
da spade criminali nelle piaghe,
Tu,immerso nella consustanziale preghiera
anche per i figli, inghiottiti
dai paradisi artificiali
che incendiano anche il tuo prezioso dono

del libero arbitrio per salvarsi

dal rogo del male e allontanare
i venditori di morte dalle strade,
dai portoni delle scuole,
da caserme deviate dall’ orrore,
dalle discoteche notturne carbonare,
dalle parrucchiere incipriate,
da chiese,insozzate di  malefiche vergogne,
dove si scambia la sacra ostia con il Male,
la polverina e il nettare graduato
che inceneriscono il cervello umano
e rendono ciechi,incapaci di capire
il gesto criminale della mano,
pronta a colpire  dovunque all’impazzata
il bersaglio del corpo umano e del Buon Dio
come fecero i giudei:
e GESU’ pregò il Padre con morbide parole:
“Padre perdona loro, perché non sanno

l’orrenda azione che stanno compiendo”,
senza paura di essere puniti,
perché avvolti nella spirale del potere
che protegge  persone-mostri pitturati d’oro
nella bolgia infernale della dipendenza,

che  hanno immolato mansuete creature
con orribili torture e con gli sputi
che premia i blasfemi rapaci,
avidi nel ventre,di sesso e di Bacco.
Dio dei vinti, dei ladroni e degli assassini
Ora che torme umane  fuggono impaurite              
dagli stragisti di ogni colore,
dicci le nostre colpe, quale  la nostra meta
e chi allatterà il bambino dormiente nella culla .
Se siamo stati soli a combattere sconfitti
da milizie di una cultura adulterata  
per quello che credevamo il vero Bene,                          

con ecatombe di madri e di lattanti      
torturati e stuprati con violenza bruta,
che spinge i selvaggi di tutta la terra
a scorribande e eccidi nelle scuole,
nei ristoranti affollati, nelle sinagoghe
nei centri commerciali affollati di povera gente
insanguinati dall’odio
immemori della tua lezione d’amore
e di perdono per chi per trenta denari

ha tradito e venduto il suo Maestro
e continua a dissacrare il Tempio dei mercanti
imbottito di allucinazioni incontrollate                    
nel corpo, nell’anima e nel sangue,
randagi crivellati da storture
cresciuti nel dolce inferno della strada,
madre di vizi, di odi e di paradisi illusivi
ora affamati di tutto febbrilmente
invadono  con le loro ombre

i cerchi angelici del Cielo
e.anelano.le.morbide.carezze.della.madre,                                                        
                                       facilmente.rimaste.intrappolate
dagli orrori delle guerre dilaganti,
dai nuovi barbari e da fantocci di califfi
ben reclutati su Internet o da scafisti
tra giovani stravolti  nella psyche
con le lusinghe dell’Eden dorato
o  da vicende traumatiche vissute
dove il loro Dio  li attendeva
per saziarsi di sesso e delizie incantatrici
dove si respirano  montagne di rifiuti
e si appagano di ogni piacere corporale,
gestite da aziende incerottate

che si assicurano i grossi appalti senza gara
nel loro regno tappezzato di puttane
e senza alcuni vincoli di ordine legale
o di norme di sicurezza igienica e ispezioni

sul cemento, sul ferro e sui mattoni,
nell’infinito giorno di libertà totale,           
I nuovi Ungari  gli hanno incenerito
la mente, l’anima,  il cuore,
spinti a rovesciare  la-ragione
con implacabili  veleni  sconosciuti
per frantumare ogni ordine terrestre,
bruciare sul rogo la resistenza dei valori
e cancellare ogni impronta della nostra civiltà
destinata da loro a sbriciolarsi  nel  fuoco
di una moderna Apocalisse
per seminare sulle sue rovine
le spinose ortiche di una folle fede
e il sangue della loro civiltà.
Ora, Italia ,morbida culla
del più grande impero  della storia  umana
risonante nei secoli dei vibranti versi
di soavità, di amore e di etiche armonie.

di poeti dei gentili che intrecciavano ritmi                
di amicizia, di orgoglio di patria,  di etica
coniugale, di amore per i gioielli
di Lucrezia-madre , per Enea affettuoso
ed eroe per la difesa della sua città,
offesa da ratto di Paride ubriaco,
che strappò Elena divina a Menelao,
scatenando la guerra decennale
voluta dagli dei del Parnaso
tra Argolidi e Troiani per vendetta e amore.
Il  Poema sacro ci donò  la nostra lingua
e con il periglioso viaggio ultraterreno
il  poeta divino rintracciò la via del perdono
al di là delle intrecciate vie del Firmamento.
Poi  Petrarca, il poeta vate, indicò le coordinate
Di Eros, che “solo e pensoso”elaborò
e concluse nella silenziosa quiete
della modesta casa di Arquà illuminata dal cielo

dove i potenti credenti ancora
nella catartica forza della poesia
collocarono su una grande lapide di bronzo

sopra l’ingresso, il nome della casa e del poeta
che insegnò i piccoli e lunghi passi pazienti
di un amore  che vuole diventare eterno
nel sublime inno alla vergine Maria.
Le divine Grazie furono il porto d’oro
del tempestoso  mare interiore
della vita randagia e disperata
dell’eroico poeta che si illuse
del sogno di una patria libera e unita
in un mosaico  di fratellanza e Amore
per una giustizia  uguale per patrizi e plebei
per feudatari, valvassori, valvassini  e schiavi
finalmente uniti nel sincero abbraccio.
E l’amore suo e quello universale
Inseguì l’Hortis sempre lacerato

e inappagato di quello corporale
lo ricercò più nobile e ideale
nei Sonetti cantato lo innalzò
dal coito banale, a pura illusione
nelle Odi,  oscillanti tra  passione pura
e sogno trepidante di poesia
che vince di mille secoli il silenzio.

Catastrofica fu l’illusione imperiale
che ringhiottì  per un attimo nel buio
Ugo ancora incerto tra il Bene e il Male
Pedestre,  squallida e insensata
la presenza umana sulla terra
sospesa sul vuoto del suo nulla:
Era giovane ancora quando rifiutò
Il tradimento facoltoso della patria
e di notte fuggì oltre Le Alpi
e attraversò la  Manica
dove coperto di debiti e di stracci

ritrovò la figlia Teresa affettuosa
venuta al mondo da un fugace amore.
Fu ritrovato coperto di miseria
inseguito dai tanti creditori,
ma altissimo si librò il suo Carme
che innalzò con i suoi versi nel Parnaso
gli uomini grandi della  storia,
di cui inneggiò la gloria delle gesta
e le immortali imprese e le scoperte
di ingegni sacri. In ciò recuperò  il senso
della vita, se vissuta per gloriosi doni

all’uomo necessari,”finché  il sole
tornerà a risplendere sulle sciagure umane”
se l’uomo percorrerà la via
del bene  e ridarà  luce alla poesia
per illuminare ogni destino umano.
Il Marchese di Brusuglio giansenista
dopo una conflittuale adolescenza

scoprì tra i libri sacri il suo sentiero
e sciolse i nodi del suo pensiero
nello scandire con la Musa
gli Inni Sacri della retta via.
Le due inimitabili tragedie
di Adelchi e di Ermengarda
a cui affidò i messaggi eterni
delle vittime innocenti per amore
confortati nell’ingiusto dolore
dal  Vero Padre che “abbatte e che consola”
che li accolse nel suo eterno regno
con festoso abbraccio.
Per vent’anni il Padre celeste fu il suo tutore
e lo sostenne invisibilmente con amore
nel Calvario del dolore per i figli sventurati,

ma gli donò l’ingegno per smaltire
scorie industriali affidati
ad agenzie fantasma create a tal fine

per i nuovi barbari assetati di bottino,
di febbre dell’oro e del potere
in cui nuovi Nerone sguazzano a piacere
con nuovi metodi di scippi e di rapine,
con il sangue impazzito  sepolto nelle vene.
Tutte le organizzazioni criminali della terra
hanno già aggiornato le loro strategie;
non più delitti d’onore, nè estorsioni
a piccoli artigiani travolti dalla crisi
né danni ai beni delle cavie da spolpare.

Né sgarbi a politici e potenti,
ma calorosi sorrisi saettanti
per siglare un  pubblico inganno di amicizia
finalizzata al mutuo arricchimento
con la lupara celata sotto il braccio
pronti  a gioire per la folle strage del suo gesto
e bere il fiume di sangue che scorre

nei quartieri  bui  dei  grossi affari
per potersi proclamare nuovi eroi,
protettori  degli indifesi , beni da spartire
tra i nuovi alleati paralleli , organizzati
per governare tirannicamente il mondo  
e.potersi.incoronare imperatori                                        
di ogni germoglio d’oro, e decretare
la sorte futura del pianeta.
Per loro ogni uomo è un burattino
e la vita umana è carne per i cani.
Solo loro  hanno il diritto di godere
La vita con gli appalti miliardari                         
assegnati iniquamente ai burattini
asserviti al potere come camerieri
e d  il buon Ministro sa distribuire equamente
le fette della torta infiorettata e brindare
con champagne molto invecchiato
con il sovrano degli illuminati, già lanciati

verso Sodoma e Gomorra, nelle cui bolge
infuocate i  dannati rimescolano il sesso
e le mollezze di ogni appagamento del piacere.

Nella villa dorata sui colli di Roma,
baciata dal sole da mattina a sera.
L’uomo riduce in cenere la sua “dolce-vita”.
                                                                       
Ora, cara Roma,maestra di potenza e di cultura
ora sei una vespasiana casa.
 O amata Roma un tempo  perla  adorata,
quando agli dei  tu eri  devota
quando cavalcavi orgogliosa per l’Europa
ed eri divina per i popoli terrestri.
Oggi i tuoi figli
che escono di casa sono invasi
Da odori e  da cimiteri di rifiuti
Senza più vedere l’azzurro del cielo,

I turisti che un tempo correvano.felici                       
per bere le tue acque cristalline verdi e pure
della stupenda “Fontana diTrevi”

si sentivano eroi al Colosseo

e sorseggiavano  sfilacci di.cultura

ancora gorgheggianti nel clan di.Mecenate.

Ricchi di bellezza e di aria.pura

rientravano nelle loro.abitazioni

e raccontavano felici ai loro figli

la storia e le bellezze della  città.eterna.

Ora sei stata abbandonata

sul ciglio della  RupeTarpea

dell’incanto delle Sirene ingannatrici

preferita dai croushar di ogni paese
,                                                                                
e vedi  i colletti bianchi  scendere
gli scalini vellutati velocemente
per orinare liberi e fuggire alla stazione,
senza passare davanti al sacro Parlamento
dove  si gioca con,divertimento
                                                                                   a inutili carte
costituzionali
e l’uomo politico del.pisciatoio                       
che da mesi gira a vuoto
per le affumicate stanze del potere

il girone infernale in cui l’uomo brucia
accettando di essere libera trottola
e divorare il pane rubato con gli amici topi.

E Tu, Divino Cieco

della poesia che vede lontano
nelle pagine della storia del futuro,
Tu,aedo dio degli eroi
che piantarono nei secoli bui
palme d’amore,
celesti amori di virtù eccelse,
che riempisti i secoli di eroi
della famiglia, della patria, dell’infrangibile
mastice di amicizia immortale,
tremante vegliardo del rogo di Didone
vittima  di un tragico e immortale amore,
ma anche pudico cantore del lindo sentimento
della gentile Nausicaa dalle bianche braccia,
di Penelope,stupenda sposa eroina di affetti,
aedo profetico d’amore di Telemaco,
ma anche in pena per la triste sorte di Laerte
e di Argo fedele che acciambellato sulla soglia

immerso in un sonno di dolore

per il compagno-padrone lontano
con il grumo di una lacrima incollata
all’angolo dell’occhio.
E come non pensare alle irresistibili seduzioni
che tu,con i tuoi dei,preparasti come prova
di resistenza ai fragili sensi del tuo eroe.
Così illuminasti l’uomo di ogni tempo
sulle insidie nascoste nell’abbaglio
della bellezza  e del soave canto

pronte a sedurre e a strangolare gli amanti

catturati nella loro diabolica rete,
che tu, Ulisse,figlio di una dea,
riuscisti  ad eludere, e insegnasti al mondo,

nove secoli prima del Grande Giorno
che portò sulla terra anche il tuo dio.
Tu, fratello terreno o immortale maestro,
insegnasti al tuo discepolo che siamo nati
“non per viver bruti,ma per seguir
virtude e conoscenza”.
Il  Poeta Divino seguì le tue nitide impronte
e riuscì a salvarsi dai mostri della Selva
per indicarci le impervie orme della speme.
Tra i molti,anche il barone di Brusuglio
resistette ai dolori della vita
con la Provvidenza sepolta nelle vene.
Ma all’ombra del gelso del Caos,
il cuore e la mente vacillarono
e scivolarono nella trappola del dubbio

che la ragione umana attese a lungo,
per poter spiegare all’uomo che si ostinò
fino alla fine a rimanere incagliato
nei suoi personaggi senza autore.

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Informazioni su Carmelo Aliberti

Carmelo Aliberti è nato nel 1943 a Bafia di Castroreale (Messina), dove risiede, dopo la breve parentesi del soggiorno a Trieste, e insegna Lettere nel Liceo delle Scienze Sociali di Castroreale. È cultore di letteratura italiana presso l’Università di Messina, nominato benemerito della scuola, della cultura e dell’arte dal Presidente della Repubblica. Vincitore di numerosi premi, ha pubblicato i seguenti volumi di poesia: Una spirale d’amore (1967); Una topografia (1968); Il giusto senso (1970); C’è una terra (1972); Teorema di poesia (1974);Tre antologie critiche di poesia contemporanea( 1974-1976). POETI A GRADARA(I..II), I POETI DEL PICENUM. Il limbo la vertigine (1980); Caro dolce poeta (1981, poemetto); Poesie d’amore (1984); Marchesana cara (1985); Aiamotomea (versione inglese del prof. Ennio Rao, Università North Carolina, U.S.A., 1986); Nei luoghi del tempo (1987); Elena suavis filia (1988); Caro dolce poeta (1991); Vincenzo Consolo, poeta della storia (1992); Le tue soavi sillabe (1999); Il pianto del poeta (con versione inglese di Ennio Rao, 2002). ITACA-ITAKA, tradotta in nove lingue. LETTERATURA SICILIANA CONTEMPORANEA vol.I,p.753, Pellegrini ,Cosenza 2008; L'ALTRA LETTERATURA SICILIANA CONTEMPORANEA( Ed.Scolasiche -Superiori e Univesità-) Inoltre, di critica letteraria: Come leggere Fontamara, di Ignazio Silone (1977-1989); Come leggere la Famiglia Ceravolo di Melo Freni (1988); Guida alla letteratura di Lucio Mastronardi (1986); Ignazio Silone (1990); Poeti dello Stretto (1991); Michele Prisco (1993); La narrativa di Michele Prisco (1994); Poeti a Castroreale - Poesie per il 2000 (1995); U Pasturatu (1995); Sul sentiero con Bartolo Cattafi (2000); Fulvio Tomizza e La frontiera dell’anima (2001); La narrativa di Carlo Sgorlon (2003). Testi, traduzioni e interviste a poeti, scrittori e critici contemporanei; Antologia di poeti siciliani (vol. 1º nel 2003 e vol. 2º nel 2004); La questione meridionale in letteratura. Dei saggi su: LA POESIA DI BARTOLO CATTAFI e LA NARRATIVA DI FULVIO TOMIZZA E LA FRONTIERA DELL'ANIMA sono recentemente uscite le nuove edizioni ampliate e approfondite, per cui si rimanda ai relativi articoli riportati in questa sede. E' presente in numerose antologie scolastiche e sue opere poetiche in francese, inglese, spagnolo, rumeno,greco, portoghese, in USA, in CANADA, in finlandese e in croato e in ungherese. Tra i Premi, Il Rhegium Julii-UNA VITA PER LA CULTURA, PREMIO INTERN. Per la Saggistica-IL CONVIVIO 2006. Per LA NARRATIVA DI CARLO SGORLON. PREMIO "LA PENNA D'ORO" del Rotary Club-Barcellona. IL Presidente della Repubblica lo ha insignito come BENEMERITO DELLA SCUOLA;DELL CULTURA E DELL?ARTE e il Consigkio del Ministri gli ha dato Il PREMIO DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO 3 VOLTE. E' CUlTORE DELLA MATERIA DI LETTERATURA ITALIANA. Il Premio MEDITERRANEO alla carriera. Il PREMIO AQUILA D'ORO,2019. Con il romanzo BRICIOLE DI UN SOGNO, edito dalla BastogiLibri di Roma gli è stato assegnato il Premio Terzomillennio-24live.it,2021 Sulla sua opera sono state scritte 6 monografie, una tesi di laurea e sono stati organizzati 9 Convegni sulla sua poesia in Italia e all'estero. Recentemente ha pubblicato saggi su Andrea Camilleri, Dacia Maraini,e rinnovati quelli su Sgorlon, Cattafi,Prisco,Mastronardi e Letteratura e Società Italianadal Secondo Ottocento ai nostri giorni in 6 volumi di 3250 pp. Cura la Rivista Internazionale di Letteratura TERZO MILLENNIO e allegati. Ha organizzato Premi Internazionali di alto livello,come Il RHODIS e il Premio RODI' MILICI-LOMGANE. premiando personalità internazionali che si sono distinte nei vari ambiti della cultura a livello mondiale

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