CARMELO ALIBERTI
TRA IL BENE E IL MALE
POEMETTO
PREFAZIONE
di Cristina Saja
Giornalista
“Tra il bene e il male”: per raccontare le brutture del mondo, conservando storia, memoria e amore. Una preghiera, un saluto accorato, un dono di inestimabile valore per chi, privilegiato, discende da un poeta.
“Tra il bene e il male”, ultimo poemetto ancora inedito di Carmelo Aliberti è Agàpe per il mondo intero.
Con estrema semplicità sintattica il poeta e critico di Bafia riesce ad emozionare chiunque si accosti alla lettura dell’ultimo dei suoi scritti che, sin dagli albori della sua carriera, sono sempre stati una fonte da cui attingere storie antiche, memoria e morale riuscendo a scorgere e trovarsi tra le mani la forza per tornare a galla in quel mondo così ostile che oggi ci appare più che mai liquido.
La trasmissione della generazione avviene nei primi versi del poemetto, in cui Aliberti si mostra ‘nudo’ davanti alle uniche creature al mondo che gli infondono gioia e speranza: i suoi dolcissimi nipotini.
Così, in un’epoca in cui, ai genitori è impossibile sempre più lasciare lasciti materiali per via delle brutture del mondo, i nonni riescono a dare ancora un’altra lezione di vita che si traspone nell’essenzialità della continuazione delle generazioni future. Se nulla di materiale si può donare, possiamo noi donarci ai pargoli attraverso il nostro sapere, la nostra esperienza e la nostra conoscenza.
Quello di Aliberti è l’ennesimo esempio di come un poeta prima, un maestro dopo ha una soluzione che discende direttamente dai suoi sentimenti e dalla sua sensibilità, la dote più elegante di cui si può vestire l’intelligenza.
La più autentica eredità consiste, quindi, nel modo in cui abbiamo fatto tesoro delle testimonianze che abbiamo potuto riconoscere dai nostri avi.
Da questo punto di vista ogni figlio deve interiorizzare che il destino di erede è quello di essere anche orfano – come l’etimologia greca, mostra: erede viene dal latino heres che ha la stessa radice di cheros, che significa deserto, spoglio, mancante e che rinvia a sua volta al termine orphanos. Così l’orfano, come il nipote senza il nonno, quando lo sarà, diverrà il giusto erede, colui che non si limita a ricevere ciò che gli avi gli hanno lasciato. Piuttosto, deve compiere, come direbbe Freud. attraverso Goethe, un movimento di riconquista della sua stessa eredità: “ciò che hai ereditato dai padri riconquistalo se lo vuoi possedere”.
In questo senso l’eredità autentica implica un movimento attivo del soggetto più che una acquisizione passiva.
Qui il poemetto diventa un pretesto, un libretto d’istruzioni, una buona base di certezza e sapienza da poter mettere in atto.
Quindi cosa si eredita se non si eredita un Regno, se non si è figli di Re?
La trasmissione del desiderio da una generazione all’altra, nient’altro che il modo con il quale i nostri padri hanno saputo vivere su questa terra. provando a dare un senso alla loro esistenza; il modo con il quale i nostri padri hanno dato testimonianza del loro desiderio, ovvero che si può vivere con slancio, con soddisfazione, dando senso alla nostra presenza nel mondo.
Nella seconda parte del poemetto, l’autore cambia gli stakeholder e si rivolge ai lettori come al mondo intero, all’individuo come a Roma e al Divino Cieco per parlare della Provvidenza e instillare nel cuore di ciascuno che è in balia di fiabe e brutture, il senso fermo del “credere”. Religione oppure no, la credenza e la mistifi-cazione sono parti di noi stessi che non vanno eluse mai, né soffocate dal fluire inquieto dei giorni e mischiate a quegli occhi ‘nuovi’ che vedranno meraviglie, nel territorio in cui si trovano.
Ecco allora affiorare il territorio: la rocca Salvatesta, il torrente del Patrì e moltissime altre sfaccettature.
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E come cancellare con un colpo di spugna Turi Coddulongu, sbandato di guerra, con il boato delle armi dentro il cuore, gli occhi accecati dalle bombe, la mente incapace di capire che era un cimitero di stragi e di dolore il mondo intorno a cui ruotava appeso nel vuoto ad un aereo nemico con la corda d’acciaio attorno al collo.
Turi tra urla infuocate di tormento, turbinava con girandole del corpo in sintonia con il boato dei motori sferzati da turbine rapinose.
L’incipit della dedica a “Turi Coddulongu” con cui si chiude il poemetto giova, poi, a trovare la chiave della ‘traduzione’ di quel gesto.
Scrivere il poemetto è stata un’esigenza per cantare gesta, storia, uomini di valore e lasciarle impresse nella “memoria”.
Che sia di un bambino o una bambina, di un improbabile lettore o dei discendenti di Turi, il poemetto non è che un’esortazione al coraggio attraverso l’amore.
“Omnia vincit Amor” è un ritornello che torna spesso come sfondo agli scritti di Aliberti e non poteva mancare in questo caso, in cui poetica e sentimento si fondono in un più ampio e più puro intento, quello di rimanere al fianco di chi ancora in primavera allieta e scalda le giornate autunnali di un mondo che sa di inverno e sentimenti liquidi.
Il rimedio sta tutto qui: “Tra il bene e il male”, trovare sempre il giusto equilibrio e farsi guidare dall’insostituibile valore della fede che salva e nutre la forza del desiderio senza la quale la vita appassisce e ci regala un messaggio di inegua-gliabile valore: respirare l’amore in famiglia insegna l’amore nella vita.
Miei dolcissimi Bambini,
oggi è il nonno che vi scrive
con parole inzuppate d’amore curative,
mentre il seme della catastrofe
gira l’angolo abbracciato alla bora
ed io avvelenato vi sorrido
per distrarvi dallo sguardo
di sequenze di immagini spettrali
che straziano il cuore e sconvolgono
la mente popolare,
lasciandoci sgomenti
e vorticanti sulla cima delle scale
in vertiginosi capogiri di paure
ingolfate in desertici pensieri,
che inchiodano al dubbio doloroso
se scendere, salire o rimanere
sull’orlo dell’ombra delle scale
che io mi sforzo a trattenere
per impedirvi di vedere in fondo
perché la ferita che potrebbe insanguinare
le pupille accese e trasparenti
in cui beata naviga la luna,
che ha ridato forza alla mia agonia.
Prima della scalata alle alte cime
rischiarate dal cielo cristallino,
vorrei ancora sostare accanto a voi
per donarvi lunghi attimi di gioia,
raccontandovi fiabe a lieto fine
e rivelarvi che il mostro segreto
in agguato dietro il sipario del cuore,
del sangue e nei pensieri,
è stato abbattuto dagli strali mortali
del minuscolo David,
eroe degli eroi sul pianeta
e di altre pargole vite, come voi
che con giochi simulati al nascondino
o con altre geniali invenzioni
riuscite a stimolare ancora
giorni di festa tra di noi.
Mentre trascorriamo ore liete
Accucciati, abbagliati dal nitore
Delle vostre acrobazie intelligenti,
io imparo dalle capriole della vostra mente
e mi illumino di gioia, mentre scrivete
su pagine da voi decorate
a Babbo Natale e confessate
di essere stati buoni in famiglia
e bravi a scuola e meritate
i doni natalizi sotto l’albero
o accanto alla capanna del Bambino
tremante sulla paglia per il gelo.
Spesso volete sentire la storia
di Babbo Natale e del Bambino
ed io non so come
spiegarvi con chiarezza
che Giuseppe è il padre putativo
del Bimbo che sorride sulla paglia.
Per voi Dio è parola incomprensibile
ed io forse potrò essere più chiaro
quando torneremo ad essere vicini
nella città d’armonia eterna,
nella dimora dell’eterno Padre,
sempre in attesa sulla soglia
con un concerto di Angeli
che sventolano trecce di ulivo
come uccelli timidi nel caldo nido,
e parlerete con il Pargolo Divino
tremante di freddo sulla paglia
che riscalderete con il caldo fiato
di balbettanti domande affettuose
e nel dialogo farete sentire al mondo
il sentimento di essere fratelli.
Beato sarà quel giorno assai lontano,
sarà il primo della Gioia vera
quando potremo cancellare
le stimmate che ci hanno angosciato
nel fango insanguinato della terra.
2)
Ci hanno estirpato dalle labbra spente
le vibrazioni delle magiche esultanze
mentre accucciati sul pavimento
della vostra stanza di zaffiro sorridenti
discutevate sui segreti dialoghi
di Masha e Orso e sui loro sentimenti
umani più dei bruti,
nel dolce suono della vostra cetra
che calda di affetti familiari
di lupi affamati,
corrono in soccorso di chi invoca aiuto
senza il gelido egoismo
della sterpaglia umana.
Un boato di fuoco esplode
sulle nostre labbra assiderate
e il ciclone d’agosto ci ridesta alla vita
inchiodati stupefatti e pronti
ad accarezzarvi gli occhi sorridenti.
3)
Il mio giorno che incomincia ad annottare
mi trattiene ancora sul ciglio del tramonto
per portarmi dentro la notte buia
l’incanto dei vostri cinguettii.
Se la luce del giorno occhieggerà ancora
dietro i rami velati dei cipressi
sarà il migliore regalo ai nostri anni
che vedono solo scorrere la vita
nei laghi limpidi delle vostre ciglia
balbettanti di luce e di speranza.
Continuate a giocare sul tappeto
con la collezione di bambole di Nives,
proseguite nel gioco con le ruspe,
la vaporiera del trenino, fate le gare
con le macchinine telecomandate,
volate sullo scivolo sicuro in terrazza,
intrecciate il gioco a nascondino
che non vi stanca mai, e tu Gabriel
quando ti annoi, salta veloce sul trenino,
riempi il cofano di dolci merendine
e con Nives sul sedile posteriore, correte
sui verdi prati del cielo, dove capretti
e agnellini appena nati gioiscono alla vita
con soavi gorgheggi del belato.
Sazi di bellezza e di profumi
continuate a sfogliare gli amati libricini
per continuare a vivere il sogno già vissuto,
seduti per terra ad ascoltare.
Alla fine, Gabriel, corri ad aiutare la nonna
con la scopa e con lo straccio in mano,
per pulire ogni briciola di pane
che tu, con occhi infallibili, catturi.
Poi, aiutata a preparare i biscotti
e la torta della nonna,
da offrire a papà e mamma,
quando rincasano stanchi dal lavoro
portandovi sempre un regalino.
Poi, Gaby, prendi il nonno con la mano
e guidalo al tavolo a pranzare,
come fai ogni giorno, staccandomi
dal computer, dove trascorro
intere giornate a lavorare, e mi indichi
il posto riservato, il piatto e la forchetta
e solo pago, ti vai a sedere al posto
a te riservato. E tu Nives, angelica bambina,
continua a leggere le fiabe al fratellino,
insegnagli i numeri e le lettere dell’alfabeto
e non cessare di leggere ogni giorno
il tuo libro di scuola e degli eroi
della tua biblioteca e, per tutto
ciò che non sai, chiedi risposte
ai tuoi genitori, sempre sempre.
perché sono loro che vi hanno cresciuti
i veri sinceri amici che vi insegneranno
a distinguere Il Vero Bene dal Male
di fuoco della vita.
Festeggerete ancora insieme
i compleanni, e noi lieti vi saremo accanto
mentre soffiate sulle candeline
gli anni che scorrono e si dissolvono nel cielo
con il volteggiare nell’aria degli aquiloni
che impazziscono contro il tetto della stanza
per innalzare i vostri sogni al sole.
Noi saremo già illuminati
dentro la stella polare, dopo la partenza
dal pianeta governato da arpie umane
che ci hanno strappato come bruti
dagli occhi e dalla gola
il germe del sorriso, che dolcemente
vi accoglieva con la parola Gioia
quando uscivate dalla scuola
rossi di allegria
stringendovi la mano, e correvate
insieme tra le mie aperte braccia
mentre io sussurravo bisbigli d’amore
per voi con il cuore avido di tenerezza:
e tornavamo in fretta dalla mamma
che era in attesa ansiosa sulla soglia
per trattenervi nelle calde braccia
che illuminavano di eterna primavera
anche i plumbei giorni dell’inverno.
II PARTE
Ci hanno tolto la gioia di morire
tra la dolcezza dei vostri sguardi
imperlati dalle nostre carezze
Ci hanno relegati come bruti
nel ghetto dei relitti umani
in pasto agli avvoltoi e alle iene
con la soluzione finale dei tiranni.
Ci hanno ridotto a un lume spento
con il viso stremato negli escrementi
dei cani dei potenti che tappezzano
le vie di cadaveri truciolati
lentamente da vermi puzzolenti
I farisei e i pubblicani profanano
ancora le porte del Tempio con tappeti intarsiati
e nell’agorà vendono bugie edulcorate
per proseguire a torturare con soprusi,
violente bestemmie e rappresaglie
nel retrobottega del sacrario
il libero pensiero di chi vuole vivere
con il soave Dio nel cuore e nella mano.
Nel tempio di Demetra fingono il peana
attorno al sarcofago del caro amico ucciso
e insozzano l’Agàpe divina
con l’insulsa lingua di peccato.
2)
Ora la maniacale febbre del potere
ha trascinato il mostro umano nel girone
fetido del Male più profondo
con carica di ordigni distruttivi,
nascosti nello zaino del pane:
nei gloriosi musei piangono
solo gli eroi morti con i droni
della guerra invisibile
che ha devastato la bellezza delle mura
violentate del cuore crivellato dentro il petto:
i ristoranti sono fumosi e affollati
di veleni, di ventri avidi di Venere.
Le metropolitane sono chiuse ai vagabondi
e alle puttane che vendono la carne
per tre monete d’oro di mangime.
I campi sportivi, le sinagoghe e le pievi dove il vecchio prete venne sgozzato
dall’ impietoso coltello dell’apostata,
mentre chiuso nel silenzio dei peccati
protendeva ai credenti e miscredenti
l’adorata pisside dorata, e ogni labbro
affondava nel sangue che scorreva
dai sacri gradini dell’altare
come il sangue purissimo del Giusto
caduto nel Tempio ai piedi dei mercanti
abbagliati da un altro paradiso
affollato di piaceri, di ninfe avide e di sante
poligame e vergini devote
al nettare satanico di Eros
avvelenato da occulte mani.
Ma i porci di Circe come ubriachi
non conoscono la selenica dolcezza
del morbido seno della madre
e il pianto del bambino
che succhia il nulla al capezzolo
di misere, schiacciate dalla fame
dall’empio piede sopra il volto
di chi ignora perchè vivere o morire,
e distrugge l’azzurro del Creato,
dono catartico di un dio sconosciuto
profumato nell’anima deserta
dove fiorisce la radice del sole
e la vetta zigrinata del chiarore azzurro
che oscilla senza quiete,
tra lo squarcio invisibile del male
e il mare frizzante dell’oro di ogni bene,
dinnanzi al libero arbitrio sgozzato.
3)
Oh! Nostro Caro Vecchio Dio di Abramo
che osservi da un pertugio dell’ignoto
i nostri passi incerti, vacillanti nel buio
della valle sperduta dentro la siepe
fiorente di spine avvelenate,
Dio della vita, dell’acqua e del fuoco
adorato per secoli dagli avi,
eroe primiero di ogni fede
pronto a folgorare il seme amaro,
per noi agnelli violentati
con l’ansia del tuo perdono sulle labbra,
ti supplico, con le ciglia folgorate,
non rimanere indifferente
alle stragi selvagge consumate
tra fratelli sul proscenio della Tua bellezza.
Dio paterno misericordioso e giusto,
DIO UNICO di tutti noi, miseri mortali
ciechi, ma ricchi di fede e sperduti
nel rosso deserto del nostro cimitero
inumati dal male, tuo nemico.
Tu, DIO-Soldato PACIFISTA
che consoli le pie donne oltraggiate
con creature in grembo
e i figli tuoi soldati torturati
dalle guerre con Caino.
Tu, Padre Santo dei nostri pensieri,
Suprema creatura di felicità e Amore
per le mansuete pecore di diverso colore
Tu, che hai creato il Bene
e il Male che non ti appartiene
ma è il correlativo oggettivo eliotiano,
cartina di tornasole del tuo splendore
che hai accolto tra le braccia spalancate
lacrime e urla e guerre fratricide.
nella storia, e custodisci ancora
devotamente il mondo gocciolante di fiele
che barbaramente si accanì sul vecchio prete
con la bianca colomba svolazzante sul capo
e il ramoscello d’ulivo stretto in mano,
mentre si sentiva vicino al grande volo,
aggrappato al Crocifisso che piangeva
segretamente il suo pastore
immerso nell’ascetica preghiera,
congiunto a te, invocato a perdonare,
ora che assistiamo al massacro
nelle famiglie, dove i figli-Giuda
sgozzano i padri aggrappati al crocifisso,
per implorare perdono,
come Tu, Spirito Santo e Dio,
sul Golgota inchiodato e insanguinato
con vulcanici ferri nelle vene,
come il Pellicano per amore
donò il suo cuore da mangiare
ai suoi implumi pargoli affamati
sul punto di morire,
Tu, anche Tu, fratello Cristo trafitto
nella gola con il sangue raggrumato
da spade criminali nelle piaghe,
Tu, immerso nella consustanziale preghiera
anche per i figli, inghiottiti
da universi incandescenti
che incendiano anche il tuo prezioso dono
di libertà totale per salvarsi
dal rogo del male, e allontanare
i venditori di morte dalle strade,
dai portoni delle scuole,
da caserme deviate dall’ orrore,
dalle discoteche notturne carbonare,
dalle parrucchiere incipriate,
da chiese, insozzate di orrorose blasfemie,
dove si scambia la sacra ostia con il Male,
la polverina e il nettare graduato
che inceneriscono il cervello umano
e rendono ciechi, incapaci di capire
il gesto criminale della mano,
pronta a colpire dovunque all’impazzata
il bersaglio del corpo umano e del Buon Dio
come fecero i giudei:
e GESU’ pregò il Padre con morbide parole:
“Padre perdona loro, perché non sanno
l’orrenda azione che stanno compiendo”,
senza paura di essere puniti,
perché avvolti nella spirale del potere
che protegge mostri luccicanti di cromo
nella bolgia rovente della dipendenza,
che hanno immolato mansuete creature
con orribili torture e con gli sputi
che premia i blasfemi rapaci,
avidi nel ventre, di sesso e di Bacco.
4) Dio dei vinti, dei ladroni e degli assassini
ora che torme umane fuggono
impaurite da stragisti di ogni colore,
dicci le nostre colpe, quale la nostra meta
e chi allatterà il bambino piangente
nella fredda culla?
Se siamo stati soli a combattere sconfitti
da milizie di una cultura adulterata
per quello che credevamo il vero Bene
con ecatombe di madri e di lattanti
torturate e stuprate con violenza bruta,
che spinge i selvaggi di tutta la terra
a scorribande e eccidi nelle scuole,
nei ristoranti affollati, nelle sinagoghe
nei centri commerciali di povera gente
insanguinati dall’odio
immemori della tua lezione d’amore
e di perdono per chi per trenta denari
ha tradito e venduto il suo Maestro
e continuano a dissacrare il Tempio Sacro
imbottito di allucinazioni incontrollate
nel corpo, nell’anima e nel sangue,
randagi crivellati da storture
cresciuti nel dolce inferno della strada,
madre di vizi, di odi e di illividiti abbagli
ora affamati di tutto, febbrilmente
invadono con le loro ombre
i cerchi angelici del Cielo
e cercano le morbide carezze della madre
facilmente rimaste intrappolate
dagli orrori delle guerre dilaganti,
dai nuovi barbari e da fantocci di califfi
ben reclutati su Internet o da scafisti
tra giovani stravolti nella psyche
con le lusinghe dell’Eden dorato
o da vicende traumatiche vissute
dove il loro Dio li attendeva
per saziarli di sesso e deliziosi incanti
dove si respirano montagne di rifiuti
e si appagano di ogni piacere corporale,
gestite da aziende incerottate
che si assicurano i grossi appalti senza gara
nel loro regno tappezzato di puttane,
e senza alcuni vincoli di ordine legale
o di norme di sicurezza igienica e ispezioni
sul cemento, sul ferro e sui mattoni,
nell’infinito giorno di libertà totale,
i nuovi Ungari gli hanno incenerito
la mente, l’anima, il cuore,
spinti a rovesciare la ragione
con implacabili veleni sconosciuti
per distruggere l’ordine terrestre,
bruciare sul rogo la resistenza dei valori
e cancellare l’impronta della nostra civiltà
destinata da loro a sbriciolarsi nel fuoco
di una moderna Apocalisse
per seminare sulle sue rovine
le spinose ortiche di una folle fede
e il sangue della loro crudele civiltà.
5)
Ora, Italia, culla soave
del più grande impero universale
risonante nei secoli dei vibranti versi
di soavità, di amore e di etiche armonie.
di poeti gentili che intrecciavano ritmi
di amicizia, di orgoglio di patria, di etica
coniugale, di amore per i gioielli
di Lucrezia-madre, per Enea affettuoso
eroe difensore della sua città,
offesa dal ratto di Paride ubriaco,
che strappò Elena divina a Menelao,
scatenando la guerra decennale
voluta dagli dei del Parnaso
tra Argolidi e Troiani per vendetta e amore.
Il Poema sacro ci donò la nostra lingua
e con il periglioso viaggio ultraterreno
il poeta divino rintracciò la via del perdono
al di là delle aggrovigliate vie del Firmamento.
6)
Poi Petrarca, il poeta vate, indicò le
coordinate di Eros, che “solo e
pensoso” elaborò tra novellanti dubbi
nella silenziosa quiete di Arquà
illuminata dal cielo,
dove i potenti credenti ancora
nella catartica forza della poesia
collocarono su una grande lapide di bronzo
sopra l’ingresso, il nome del poeta
che insegnò i pazienti e dubbiosi passi
di un amore che vuole diventare eterno
nel sublime inno alla vergine Maria.
7)
Le divine Grazie furono l’approdo
del tempestoso mare interiore
della vita randagia e disperata
dell’eroico poeta che si illuse
del sogno di una patria libera e unita
in un mosaico di fratellanza e Amore
per una giustizia uguale per patrizi e plebei
per feudatari, valvassori, valvassini e schiavi
finalmente uniti nel sincero abbraccio.
E l’amore suo e quello universale
inseguì l’Hortis sempre lacerato
e inappagato di quello corporale
lo ricercò più nobile e ideale
nei Sonetti cantato lo innalzò
dal coito banale, a pura illusione
nelle Odi, oscillanti tra passione pura
e sogno trepidante di poesia
che vince di mille secoli il silenzio.
Catastrofica fu l’illusione imperiale
che ringhiottì per un attimo nel buio
Ugo ancora incerto tra il Bene e il Male
pedestre, squallida e insensata
la presenza umana sulla terra
sospesa sul vuoto del suo nulla:
Era giovane ancora quando rifiutò
Il tradimento facoltoso della patria
e di notte fuggì verso la Manica
dove coperto di debiti e di stracci
ritrovò la figlia Teresa affettuosa
venuta al mondo da un fugace amore.
Fu ritrovato coperto di miseria
inseguito dai tanti creditori,
ma altissimo si librò il suo Carme
che innalzò con i suoi versi nel Parnaso
gli uomini grandi della storia,
di cui inneggiò la gloria delle gesta
e le immortali imprese e le scoperte
di ingegni sacri. In ciò recuperò il senso
della vita, se vissuta per gloriosi doni
all’uomo necessari, “finchè il sole
tornerà a risplendere sulle sciagure umane”
se l’uomo percorrerà la via
del bene e ridarà luce all’armonia
per illuminare ogni destino umano.
8)
Il Marchese di Brusuglio giansenista
dopo una conflittuale adolescenza
scoprì tra i libri sacri il suo sentiero
e sciolse i nodi del suo pensiero
nello scandire con la Musa
gli Inni Sacri della retta via.
Le due inimitabili tragedie
di Adelchi e di Ermengarda
a cui affidò i messaggi eterni
delle vittime innocenti per amore
confortati nell’ingiusto dolore
dal Vero Padre che “abbatte e che consola”
che li accolse nel suo eterno regno
con festoso abbraccio.
Per vent’anni il Padre celeste fu il suo tutore
e lo sostenne invisibilmente con amore
nel Calvario del dolore per i figli sventurati,
ma gli donò l’ingegno per smaltire
scorie industriali affidati
ad agenzie fantasma create a tal fine
per i nuovi barbari assetati di bottino,
di febbre dell’oro e del potere
in cui i nuovi Nerone sguazzano a piacere
con inediti metodi di scippi e di rapine,
con il sangue rosso impazzito sepolto nelle vene.
Tutte le organizzazioni criminali della terra
hanno già aggiornato le loro strategie;
non più delitti d’onore, nè estorsioni
a piccoli artigiani travolti dalla crisi
né danni ai beni delle cavie da spolpare.
9)
Né sgarbi a politici e potenti,
ma calorosi sorrisi saettanti
per siglare un pubblico inganno di amicizia
finalizzata al mutuo arricchimento
con la lupara celata sotto il braccio
pronti a gioire per la folle strage
del gesto compiuto con disprezzo.
e bere il fiume di sangue che scorre
nei quartieri bui dei grossi affari
per potersi proclamare nuovi eroi,
protettori degli dei bugiardi
e indifesi, con beni da spartire
tra i nuovi alleati paralleli, organizzati
per governare tirannicamente il mondo
potersi incoronare imperatori
di ogni germoglio d’oro,
per decretare la sorte del pianeta.
Per loro ogni uomo è un burattino
e la vita umana è carne per i cani.
Solo loro hanno il diritto di godere
la vita con gli appalti miliardari
assegnati iniquamente ai
camerieri asserviti al potere,
il buon Ministro sa distribuire equamente
le fette della torta infiorettata e brindare
con champagne molto invecchiato
con il sovrano degli illuminati, già lanciati
verso Sodoma e Gomorra, nelle cui bolge
infuocate i dannati rimescolano il sesso
e le mollezze di ogni piacere.
Nella villa dorata sui colli di Roma,
baciata dal sole da mattina a sera.
L’uomo riduce in cenere la sua “dolce vita”.
10)
O, cara Roma,
maestra di sapienza e di cultura
O amata Roma, un tempo unica perla,
quando agli dei tu eri devota
quando cavalcavi orgogliosa per l’Europa
ed eri divina per i popoli terrestri.
Oggi i tuoi figli
Che escono di casa sono invasi
Da odori e da cimiteri di rifiuti
senza più vedere l’azzurro del cielo,
I turisti che un tempo correvano felici
per bere le tue acque verdi e pure
della stupenda “Fontana di Trevi
si sentivano eroi al Colosseo
e sorseggiavano lacerti di cultura
ancora gorgheggianti nel clan di Mecenate. Ricchi di bellezza e di aria pura
rientravano nelle loro abitazioni
e raccontavano felici ai loro figli
la storia e le bellezze della città eterna,
le materne carezze ai suoi gioielli.
Ora sei stata abbandonata
sul ciglio della Rupe Tarpea,
e sei rimasta vespasiana culla
vilipesa dai croushar di ogni paese,
e vedi i colletti bianchi scendere le scale
per orinare come ladri in fuga alla stazione,
senza passare davanti al Parlamento
dove si gioca con divertimento
a inutili carte costituzionali
e l’uomo politico del pisciatoio
che da mesi si aggira a vuoto
per le fosche stanze del potere
nei padroni assoluti senza autore,
sul trono dei nuovi satrapi,
che hanno per sempre incatenato
al quotidiano martirio anche Lele.
11)
E Tu, Divino Cieco
della poesia che vedi lontano
nelle pagine della storia del futuro,
Tu, aedo dio degli eroi
che piantarono nei secoli bui
palme di celeste amore,
di virtù eccelse,
che riempisti i secoli di eroi
della famiglia, della patria, del mastice
infrangibile di amicizia vera,
tremante vegliardo del rogo di Didone
vittima di un accecante amore,
ma anche cantore del lindo sentimento
della gentile Nausicaa dalle bianche braccia,
di Penelope, stupenda sposa eroina di affetti,
aedo profetico d’amore di Telemaco,
ma anche in pena per la triste sorte di Laerte
e di Argo fedele acciambellato sulla soglia
immerso in un sonno di dolore
per il compagno-padrone lontano
con il grumo di una lacrima incollata
all’angolo dell’occhio.
E come non pensare alle irresistibili seduzioni
che tu, con i tuoi dei, preparasti come prova
di resistenza ai fragili sensi del tuo eroe.
Così illuminasti l’uomo di ogni tempo
Sulle insidie avvolte nell’abbaglio
della bellezza e del soave canto
dell’incanto delle Sirene ingannatrici
pronte a sedurre e a strangolar gli amanti
caduti nella loro diabolica rete,
che tu, Ulisse, figlio di una dea,
riuscisti ad eludere, e insegnasti al mondo,
nove secoli prima del Grande Giorno
che portò sulla terra anche il tuo dio.
Tu, fratello terreno o immortale maestro,
insegnasti al tuo discepolo che siamo nati
“non per viver come bruti,
ma per seguir virtude e canoscenza”.
Il Poeta Divino seguì le tue nitide impronte
e riuscì a salvarsi dai mostri della Selva
per indicarci le impervie orme della speme.
Tra i molti, anche il barone di Brusuglio
resistette ai dolori della vita
con la Provvidenza sepolta nelle vene.
Ma all’ombra della verde cupola del Caos,
il cuore e la mente vacillarono
e scivolarono nella trappola del dubbio
che la ragione umana attese invano,
di poter spiegare all’uomo che si ostinò
fino alla fine a rimanere incagliato
nei suoi personaggi senza autore.
Ma l’autore è sempre esistito
arso nei cicloni tossici delle ciminiere
dove con il buio e il gelo del mattino
con gli occhi accecati va a tentoni
dietro il cancello della fabbrica
e in silenzio trema nell’attesa
di entrare per poter bere
un altro sorso di liquido mortale
desiderando soltanto di finire,
perché da anni vive
con il fiele della vita che non fu miele
mai, mai, amore, ma soltanto vittima
di un illusorio perverso bene
dell’orrido fantasma che celava
sotto le ali dell’upupa o del gufo
le sembianze sataniche di un pene
giorno e notte avido di bere.