IL POETA TELCHINO
CARA MADRE (1987)
Ho bruciato la mia ultima speranza
cara madre
sulle labbra del poeta telchino
che arabescava magiche parole
con il suono placido
sapore del miele
Io
ridisceso da galassie incandescenti
disertato il cocito ombelicale
per le esistenziali geometrie
scivolai nell’intenso luccichio
del residuo abbaglio antelucano
E sognai le pupille di scrittore
translucere sincere
del millantato amore
per gli irridenti schiavi
dilaganti
verso le ataviche rughe
della piovra borghese
Sognai di essere approdato
al paradiso ideologico
per il Sud ancora incaprettato
da mani abbarbicate
nel palazzo rosato
Anch’io
simile al popolo prostrato
nel muscolo sanguigno
dilaniato da voragini di pene
sentii risuonare
la dolce arpa del sogno di Platone
e con l’anima a mantice d’amore
sciolsi liane di sillabe
sulle pagine bianche del telchino
Allora abbacinato
da nuove frontiere inconsapevole
viaggiai nel mastice dei giorni
tra la schermata falsità del verde
Certo ricordo
nel guizzo della pioggia
dopo una tindaritana sera di novembre
sospesa tra l’ocra ansimante del telefono
e l’ombra polverosa degli archivi
si increspò di torbido
la translucida maschera del volto
forata dal mio ago di bellezza
e l’opaco scenario
dei trasformismi indifferenti e dei raggiri
che uccise in un attimo
il vibrante sorriso di Calliope
folgorò il monotono frastuono
della parola informe sconosciuta
nei solitari dialoghi
irridente del mio delirio umano
incarnato nel disegno sedentario
della polis sognata e della croce
Fu allora
la nebbia del mio esilio
gonfia di angosciosi mutamenti
a dissipare il nero della mente
sull’orizzonte asfittico del cuore
Fu la postrema ferita a zampillare
dopo la cronaca la storia
la tua dipartita,
eterna madre,
che ora mi seduci
dall’etere invaso dalla luce
d’argento del torrente
che arse i tuoi piedi nudi contadini
fu il riemergere della tua fatica
sullo schermo del vivere ogni giorno
nella gioia ostinata del dolore
nell’ansia del domani nei rifiuti
furono le auree risorte del tuo mito
a ricondurre le perdute impronte
sul sentiero desnudo dei poeti
riacceso di palpiti infiniti
nella pupilla della luna viola
RACCONTAMI LA FAVOLA
Raccontami la favola
degli occhi abbacinati
dalla fuga dell’acqua iridata
che vollero ghermire
segmenti di grazia surreale
al fiume del messaggio del reale
Raccontami la favola
del mito sorgivo della vita
trapunto di musica e di luce
nello sterminato concavo del nulla
Raccontami la favola
del mutevole trascorrere dei giorni
del quotidiano cammino per evadere
dagli argini fluenti del confine
Raccontami la favola
che la parola stremata rianimi
nello strazio del grido
per la sgozzata libertà
Raccontami la favola di Adamo
mentre insegue nel mare dell’ozono
l’immagine stravolta del suo dio,
o mio dolce fantasma che mi culli
mentre avanzo nei tuoi seni d’oro
sulla sabbia incandescente e sai che il sangue
dell’anima ha molti respiri
che il vento del cuore
nel precipizio della mente
soffia verso altri lidi,
mia favola che ancora trasfiguri
il perpetuo inferno
negli argini invisibili
del risognato eterno.
LE ULTIME GEMME
Le ultime gemme
luccicano sui tralci
nell’eccidio del giorno
nell’eclissi del mondo
sono i tuoi occhi di stella marina
che scintillano negli abissi della notte
sono i tuoi occhi di fata morgana
che mi accecano sul molo di Messina
nella livida stagione della diossina
DICEMBRE E’ IL MESE PIU’ CRUDELE
Dicembre è il mese più crudele
quando la neve cancella
le orme del verde sui sentieri
e il pettirosso ghiacciato
stramazza sui vetri offuscati
con l’occhio appannato dal dolore
di creatura inerme
nell’esilio lacerante dell’inverno
Resta solo la brace del camino
a riaccendere sul sentiero dei tuoi occhi
faville azzurre imperlate di nocciola
che istantanee si dileguano nel cielo
tra il trapezio diafano del fumo
Nel giardino di Via Dalla Chiesa
tra le foglie morte delle margherite
un fiore rosso occhieggia al primo sole
Elena con aereo passo sul lenzuolo
vola a strapparlo
e sorridendo
me lo incolla al cuore.