Una Letteratura imponente
di Sebastiano Saglimbeni
Cerca ogni giorno nella lettura un aiuto… (Seneca)
Conosciamo da parecchio tempo l’uomo, il poeta, il saggista, il docente, ora emerito, Carmelo Aliberti, nato a Bafia, una comunità dei Peloritani, in provincia di Messina, più volte insignito di meritati guiderdoni. Per quest’uomo crediamo di affermare che ha vissuto in nome della cultura letteraria. Egli l’ha costantemente, caparbiamente, studiata, l’ha partecipata nelle Scuole e ha creduto di scriverne, sin da giovanissimo. Pertanto, in lui si è generato un vivo sentimento critico, grazie al quale, meditato, rigoroso e limpido, leggiamo molti autori, ormai classici, ed autori poco noti e sconosciuti trattati, non in ordine di tempo, nella sua ultima elegante ed imponente fatica, in tre tomi, di 2159 pagine e dal titolo Letteratura e società italiana/Dal secondo Ottocento ai nostri giorni (Edizioni Terzo Millennio, 2018).
Il primo tomo, dopo i due agili profili, “Lineamenti storici” e “Quadro culturale”, si apre con un autore molto letto dagli italiani nella seconda metà del secolo scorso. Trattasi di Carlo Cassola, il cui famoso romanzo “La ragazza di Bube” appassionò, soprattutto, certo pubblico che aveva vissuto, intus et in cute, l’ultimo conflitto mondiale e la conseguente Resistenza. Seguono pagine riguardanti gli autori che hanno scritto sulla lotta di liberazione dal nazifascismo.
Pure in apertura dell’opera riappare un prosatore di rara raffinatezza, da tanto dimenticato. L’autore, di cui ora Aliberti ha rinfrescato la memoria, si chiama Nino Savarese, nato nella mitica cittadina siciliana Enna nel 1882 e morto nel 1945. Si era formato tra le famose riviste del secolo scorso, “La voce” e “ La ronda”. Può giovare, pertanto, scrivere che si dovrebbero ristampare le sue opere come “L’altopiano” del 1915, un piccolo capolavoro. Ora Savarese rivive dentro l’opera di Aliberti e il lettore della nuova generazione potrà sapere che “la sua produzione letteraria comprende una trentina di titoli che Enrico Falqui nel 1961, in forma antologica, riunì con il titolo La goccia sulla pietra e altre operette”. Il secondo tomo si apre con Maria Luisa Spaziani, la cui vita è trascorsa invero in nome della poesia; segue Dacia Maraini, che la critica ha giudicato “la migliore scrittrice italiana vivente”. In questa parte dell’opera, forse la più intensa e sofferta da Aliberti, si leggono alcune pagine che sono brevi saggi che l’autore in precedenza aveva divulgato e, preso da certo assillo, per offrire del meglio, ha voluto rivedere. Si può affermare che il capitale letterario nei due tomi è molto denso e gli autori, poeti e scrittori, sono un centinaio e non si può escludere che abbiano inteso lo stimolo della “febbre”, del “furore” e del “fiele”, per dirla con il saggista siciliano Giuseppe Zagarrio, ma pure la speranza, la fede in questa nostra sfera dove resta perennemente in agguato il male. Dunque, un travagliato ed orgoglioso impegno di Aliberti saggista che non può non generare certe critiche per gli esclusi che nel nostro Paese hanno firmato opere di pregio sotto ogni profilo. Ma le scelte, in imprese culturali del genere, sono scelte e, come tali, vanno rispettate. Aliberti, che ha soggiornato nella Trieste mitteleuropea dove ha conosciuto gli uomini della letteratura, vive, con la febbre del libro, in Sicilia, che con i suoi grandi e minori autori ha fatto ingresso in questa sua fatica. La Sicilia con i suoi uomini, la Sicilia “luogo di strazio ed anche di rovina”, nella definizione di Claudio Magris che pure ha inneggiato a scrittori come Federico De Roberto.
Della Sicilia, Aliberti, in un’appendice ad
una sua vecchia intervista dedicata ad un poeta menziona Concetto Marchesi,
“grande umanista e politico”. Questi, autore della famosa “Storia della
letteratura latina” in due volumi che si leggeva, anni or sono, come si può
leggere un bel romanzo, è pure un narratore, per due opere, soprattutto, “Il
cane di terracotta”, edito da Cappelli, e “Il libro di Tersite”, edito da
Mondadori. Se Aliberti avesse avuto nella sua biblioteca questi due titoli ne
avrebbe scritto e collocato nella prima metà del secolo scorso l’umanista come
uno scrittore di spicco. Senza dilungarci, si deve concludere che per allestire
quest’opera, di una complessa indagine, il saggista-poeta Aliberti, ha letto e
riletto molti nostri scrittori e poeti, li ha interpretati e
reinterpretati ed ha imparato a
conoscerli nei loro vizi e nelle loro virtù, impresa non agevole, per
divulgarli meglio con le loro opere. Solo così ha potuto completare la sua
azione critica di uomo libero e desideroso di lasciare, fra l’altro, non poco,
un lavoro che si chiama scrittura, letteratura, l’espressione più alta che
continua ad essere o a esistere e a nutrire le buone menti umane da quando
apparvero nel nostro Paese, sostituendosi alla lingua dei padri latini, i primi
linguaggi di lingua volgare, come il Placito di Capua 90.
Licteratour italienne monumental
du ricercator Carmelo Aliberti
S.I.E.S.- RIVISTA CULTURALE DELL’ASSOCIAZIONE DOCENTI UNIVERSITARI PARIS- FRANCE
Le poète et critique Carmelo Aliberti vient de publier Letteratura e società italiana dal II Ottocento ai giorni nostri aux éditions Terzo Millennio, un volume monumental en deux tomes, où il illustre les vicissitudes et les œuvres de cent trente auteurs qui ont marqué l’histoire de la littérature contemporaine.
En plus des figures emblématiques, le lecteur peut nourrir et parfaire sa réflexion grâce à un éventail prodigieux de personnalités méconnues qui mettent en exergue les thèmes et les problématiques scripturales liées à l’évolution des tendances littéraires et au rapport à la société.
La summa d’Aliberti possède le rare mérite de rendre tangibles la vie et la poétique des auteurs grâce à l’étude de leurs échanges épistolaires. Ainsi, la révélation des relations entre Cesare Pavese et Maria Corti, Alberto Moravia e Elsa Morante, Pier Paolo Pasolini e Oriana Fallaci, Biagio Marin et Claudio Magris permettent d’appréhender non seulement leurs dilemmes existentiels ou leurs rapports d’émulation, mais aussi leurs interrogations face au devenir de la société.
Jean-Igor
Ghidina
Gabriel Impaglione
DIRETTORE E FONDATORE DELLA RIVISTA MONDIALE
POETA, CRITICO E GIORNALISTA
PRESIDENTE MONDIALE DEI POETI E DELLA RIVISTA
ISLA NIGRA, DELL’UNESCO
rende omaggio a Carmelo Aliberti
NEL GIORNO DEL 50° ANNO DI ATTIVITA’
E DI DIFFUSIONE CULTURALE ITALIANA ALL’ESTERO
Ti ho letto per la prima volta, in diverse poesie sparse, negli anni 80, in Argentina, grazie al poeta e traduttore Antonio Aliberti, nato a Barcellona Pozzo di Gotto e trasferito a Buenos Arires negli anni 40. Subito incorporai nella mia piccola lista dei Poeti italiani, accanto a Quasimodo, Pavese, Montale, Luzzi Cattafi, Gatto, il nome tuo. Trovato nella tua poesia lo sguardo profondo di chi andava su questo mondo verso le nuove domande, trovavo il mistero che resta sulle parole del poema come sulle corde della chitarra restano le carezze delle dita del buon musicista, quei rumori di segreto lavoro, respiro dell’uomo sui territori del tempo. Penso che la tua opera non ritorni alle radici della grande lirica. La tua poesia è radice e fiore di grande lirismo. Meraviglia il suo profondo umanesimo. Il dolore del mondo è il dolore del poeta, la densa nebbia che ci circonda e affoga soltanto potrà sfidarsi con queste fiamme. Con questa poesia che è poesia dell’oggi e qui, ma con memoria, e pura vocazione costruttrice di futuro. Faro poetico. Direi Poeta del suo tempo, consapevole di essere nel mondo (complesso, feroce), che ci dona una voce universale fatta anche dalla ricca identità siciliana. Come far ritornare il lirismo alla nostra società, come stabilire sogni, fratellanze, impegni come pane caldo?
Carmelo, sono tempi bui. Cosi lontani dalla poesia e cosi bisognosi di poesia. Dimmi: Quando è andata via la poesia dalla poesia? Quando l’etica, la verità, la bellezza con piede nell’esilio lasciarono il vuoto alle paroline incolonnate per pura autocelebrazione, vanità pressa per talento nei talk show della cultura del nuovo secolo. (“… inquietati da un solo pensiero -/ ballo con eleganza?- Majakovski). Come dare avviso ai vicini che l’alba già è fiorita e possono cominciare i lavori del giorno? Mestiere di passeri e galli, il dare avviso dell’alba.
Ma vediamo i nostri paesi fermi nell’attesa (inconsapevole), i nostri vicini credendo oscuro quello che rivela le sue forme con chiarezza.
C’è tanto da fare … e c’è tanta solitudine circondata da schermi, luci, brillii, offerte, missili!
Carmelo, mi dicesti giorni fa: “la forza della poesia ci sostiene nella resistenza all’assedio di ogni male e ci regala un indescrivibile innalzamento spirituale che ci da gioia e ci innalza dalle brutture del Male e del mondo”.
E ti risposi: Incontrarci in piena resistenza non fa altro che darci ancora più forze. Sapere che siamo un pazzo pugno di “soli” non sta male, davanti alla certezza di tanto vuoto individualista, e ancora più, credo, convinto, che questo sia l’energia essenziale che ci salva la vita.
Trionferà l’amore. Lo sappiamo. La poesia è amore. Non durerà così tanto questa nebbia. Non si può nascondere il sole con un cartello di pubblicità.
E tu, in prima fila, Carmelo, con la tua poesia, ci spiegherai con umiltà – un’altra volta-, le cose essenziali, i nostri i nostri compiti nel nostro tempo.
Nel 50° di Aliberti, Gabriel Impaglione, poeta, giornalista e autore, direttore della rivista mondiale della migliore poesia contemporanea, pubblicata sotto l’egida dell’Unesco, porge omaggio a Carmelo Aliberti con traduzione e pubblicazione in castellano, di 10 poesie del nostro poeta con note esplicative e biografia.
La poesia è la pratolina che sbianca il verde stanco dei prati sul finire dell’inverno mentre va promettendo amore fra il m’ama e non m’ama. È la massima espressione dell’arte, l’essenza creativa qualsiasi ne sia la forma. La poesia accompagna i bimbi dalla nascita con nenie e filastrocche. Le ninne nanne sono rime in musica. I primi successi che ricordiamo son recite di versi, in piedi, sulla sedia per avere qualche altezza in più, vestiti di festa nel giorno della mamma o del papà, seri e impettiti, piccoli attori a raccogliere gli applausi di nonni, amici e parenti. La poesia è l’alba dopo ogni tramonto, la rinascita dalle dolorose ceneri, la speranza, è il sorriso che colma i cuori e illumina i volti mentre l’ultima lacrima diventa rugiada. Di questa poesia ci parlano i poeti, della sofferenza per la speranza perduta e mai perduta. È questo il messaggio che mi arriva dal poeta Gabriel Impaglione. Un poeta culturalmente impegnato a diffondere la poesia nella ricerca di destare gli animi dal torpore mentale prodotto dalla patina di indifferenza che l’egoismo e la smania di potere spalmano sulle buone intenzioni deviando la ricerca della felicità. Tutti protesi oltre la striscia gialla, intenti nello sforzo di fare il passo al di là della linea di cortesia, un po’ spinti un po’ sospesi, con gli occhi puntati sulla vetta dimentichi di guardare chi ci cammina accanto. Gabriel Impaglione sembra aver fatto della diffusione della poesia la sua missione, una missione che mira a cancellare quella patina che copre le anime soffocandone la genuina espressione. In un mondo dove tutti guardano verso le cime i poeti si guardano attorno, osservano chi gli sta accanto e come bambini, in piedi, sulla sedia, scrutano i volti attorno mentre distribuiscono gioie in versi, paghi della commozione che sentono straripare dai cuori di chi li ascolta.
Per adempiere alla sua missione Gabriel Impaglione con la complicità di Tito Alvarado ha dato origine al progetto PALABRA EN EL MUNDO, lettura in simultanea mondiale di poesia, composta da readings organizzati dai poeti interessati, nel loro luogo d’ origine che si svolge in piazze, teatri, pub, centri culturali, scuole, progetto che oggi coinvolge più di 300 città in tutto il mondo. Impaglione si propone di abbattere le barriere linguistiche attraverso la lettura delle poesie quale linguaggio emozionale che viaggia oltre i confini attraverso l’universo.
Con la rivista Isla Negra 12/422 – casa de poesía y literatura (Publicación inscripta en el Directorio Mundial de Revistas Literarias UNESCO)di cui è direttore, Gabriel Impaglione traduce e diffonde le poesie più belle dei poeti che si son impegnati e ancora si impegnano a colorare i prati inariditi dal gelo del nostro tempo come tante pratoline a primavera.
Nell’ultimo numero della rivista Isla Negra Gabriel Inpaglione ha dedicato una sezione alla poesia di Carmelo Aliberti traducendo in castellano dieci sue poesie. Un gradito omaggio che giunge nell’anno del 50° anniversario di attività culturale di Carmelo Aliberti e che si aggiunge ai numerosi omaggi ricevuti dal nostro “caro e dolce poeta” in occasione di questa importante ricorrenza. Omaggio assai gradito che arriva come un eco da oltre oceano da chi con grande umiltà si impegna costantemente in attività culturali a livello mondiale. Scrive Gabriel Impaglione alla nostra redazione:
“La poesia di Carmelo, e la sua opera, meritano ancora tanto di più, mi dispiace di non avere altre armi poetiche per moltiplicare i suoi versi, ma, questa piccolissima azione porta a tanti quella parola di identità e cultura che contiene, e già è un passo. Mi fa felice sapervi in questa strada di resistenza, sotto un tempo di nebbia buia. Un giorno avrà luce sufficiente per aiutare a far strada, per fare del mondo un territorio libero di cupidigia, pieno di poesia.
…” “…quel cammino che intraprendono i “soli” contro vento e mareggiata, lontani dalle maschere di salotto che pendono dalle vetrine come offerta del giorno. Incontrarci in piena resistenza non fa altro che darci ancora più forze. Sapere che siamo un pazzo pugno di “soli” non è male, davanti alla certezza di tanto vuoto individualista, e ancora più, credo, convinto, che questo sia l’energia essenziale che ci salva la vita. Forse perché la certezza di fraternità sia un’altra prova dell’immenso potere dell’amore, luce contro tutto il buio, consapevolezza di mano con mano davanti alla moda della disintegrazione.
Ho sentito un enorme piacere lavorando alle versioni al castigliano delle poesie. Mi sono confrontato con un universo complesso nella sua essenziale/profonda semplicità umana. Una sfida culturale che mi ha portato a cercare, leggere, ricercare -per una parola, per un verso- (che bella la grotta della Fata Morgana!) e anche questo grazie al poeta che da tanti anni ha aperto una strada per la quale vado a tentoni cercando quell’orizzonte irraggiungibile del poema.
..con ammirazione e affetto
Gabriel”.
POESIA DI CARMELO ALIBERTI
Dal limbo terrestre
all’avventura metafica dell’anima
Quando
ho iniziato a scrivere queste righe per
celebrare la tua poesia, ho ricordato un viaggio in Sicilia, la mia terra
ancestrale, insieme a Giovanna Mulas, mia moglie, e ai cari amici Grazia e
Francesco, che insieme alla loro figlia Martina ci hanno portato in auto da
Sciacca a il centro dell’isola. Il cuore mi batteva con più intensità mentre
entravamo nella provincia di Caltanissetta. Non ho distolto lo sguardo dalla
strada, volevo stampare ogni angolo del paesaggio, ogni segno, ogni cielo. E in
questo vortice di sentimenti la sua spirale mi portò quasi a levitare quando
mettemmo piede a Mazzarino, scendemmo dalla macchina e camminammo in paese,
chiedendo per Giovanna e Francesco Impaglione, gli amati cugini che
appartengono al ramo della famiglia che non emigrò in Argentina all’inizio del
‘900. Quando arrivammo a casa loro tutto era un’emozione che dura ancora oggi.
Il paese di mio nonno Giuseppe. La terra della mia famiglia, dove incontro le
mie origini. Mi sono fermato a lungo a riprodurre quel viaggio, i paesaggi, i
volti, la lingua che è per me come una musica, gli angoli del passato
traboccanti di storia. Passato e presente pieno di sforzi e sogni. L’incrocio
di così tante culture che ha arricchito sia l’isola che la sua gente. Sappiamo
che la poesia, quando è Poesia, è nutrita dalle essenze che vivono nell’essere
umano e nel suo ambiente (universale). In larga misura tutto questo – emozioni,
identità, memoria – rappresenta la tua opera poetica, il tuo lavoro di poeta e
uomo di Cultura. La tua poesia, come il mio primo viaggio in Mazzarino, mi dà
emozioni identità memoria. Non avevo bisogno di esercitare il metodo per
costruire un pezzo letterario che intende analizzare il tuo lavoro, le sue
risonanze in me, i significati dei tuoi versi. Si trattava semplicemente di
affrontare i manoscritti e lasciarmi trasportare dai loro vicoli, venti e
maree. Semplicemente perché la tua “sicilianità” è amplificata in
profondità e rende il tuo canto universale. Basta visitare la Sicilia per
capire poi, leggendoti, la ragione delle tue profonde radici in quella terra,
nei classici, nei valori fondanti della nostra cultura. E il meglio di ciò che
viene dalla mano dell’arte e della filosofia; l’etica come codice
incontestabile.
“Ninguno sabe la razón de tu exilio
y cómo mata
prorrogar todas las obligaciones
cuando el triunfo es clientelismo
Pero dentro prevalece el ideal
el empeño político fue amor
a una Isla enlutada (…)”
Non posso spiegare la tristezza e il lutto in una così bella e generosa patria, se non interpretando il fatalismo e la disillusione che ci mostrano – ancora! – il carattere autodistruttivo che occupa l’uomo nella sua cieca ricerca di idoli di argilla e l’accumulo di ciottoli colorati.È così che finisce il mondo? Ponendo fine all’uomo che ha perso la sua criticità, la sua vera dimensione di costruttore?
La lacerazione delle intime corde che vibrano quando dici fratello, davanti alla impotenza e l’orfanità di coloro che vedono come l’abisso sorge sulla nostra società, provoca nei tuoi versi un dolore che dovrebbe essere un avvertimento. Per l’indifferenza e la superficialità prevalente sembrerebbe solo retorica. Per la sensibile coscienza umana è un grido tempestivo che aggiunge la sua attenzione alla voce senza tempo dei poeti che camminano per il mondo con il cuore nelle loro mani. Nel tuo poema mi hai detto: “Un vento stipendiato ti comunica / la fine dei poeti …”. Come va questo vento, fratello? Da dove viene, quando, perché? I grandi alberi lo fermano? I massicci, le vaste estensioni? C’è una possibilità di salvezza nelle pianure o dovremo rifugiarci nelle caverne, dove il pericolo delle sagome disegnate dalla luminosità di una lampada contro un muro può sembrare il mondo? Siamo nella grotta? Siamo noi le ombre? Chi ha inventato quella lampada?
Tempi
difficili, Carmelo. La falsa felicità di una bibita o di un telefono portatile
nasconde l’impotenza di milioni di persone, nasconde la parabola della morte
dei missili e gli spudorati incontri degli attivisti di profitto. Quale diario
intitolerà a sei colonne un verso del poeta che avverte o saluta la meraviglia
della vita? La poesia non si vende. Non si vende. Né se compra. Non ci sono
mercati, né vetrate o slogan accattivanti. E sai,chiunque voglia scrivere
poesie e realizzarlo,si allontanerà da una vita addomesticata e dalla legge
della domanda e dell’offerta,della della borsa e del trucco dell’occasione.
Cosi dicesti:
“Dal sottosuolo dell’esistenza
tu coi versi ancora incidi
negative nel rotocalco della vita
e attendi il boato di una nuova libertà”.
Nella nostra povertà, la ricchezza dei mondi che ci abitano, brilla come l’aurora boreale, come una goccia di rugiada sul papavero sorpreso dalla luce dell’alba. Se ci permettessero di distribuirla in maniera massiccia, mani in mano, casa per casa!
“Tutto nel buio è dialogo muto”, hai scritto.
Se le rivelazioni illuminassero questo secolo oscuro!
I vicini di questo pianeta convulso chiamerebbero le cose con il loro nome e, proprio come nell’antico sanscrito “vana” che significa “amore” era il nome del “vino”, del seme si direbbe anche amore e amore sarebbero chiamati i pesci , il minerale, ogni verdura, i mestieri e gli strumenti necessari per il progresso umano. Perché non c’è altro modo di pensare al futuro dell’umanità o un’altra ragione più importante per sentire la vita nella sua essenza primordiale.
La sfida non è quella di provocare domani i cambiamenti necessari nella società in modo che tutto contribuisca a un possibile futuro. Dato come stanno le cose nel nostro vicinato, mantenere la resistenza più o meno stabile è un atto eroico. Come se una tempesta pazzesca, assoluta, rigorosa, infinita fosse gettata alla cieca sopra tutte le cose e il compito di trovare riparo sia limitato a non perdere di vista noi stessi, a stare fianco a fianco sotto un tetto improvvisato con le nostre mani.
Se il governo delle parole costruisse una casa dove tutti noi trovassimo rifugio prima della tempesta! E le stesse parole ci dessero Nord e Sud, pranzo, dignità di lavoro, giustizia e fratellanza planetaria!
Ma nelle nostre foreste le parole sono foglie che il vento prende di manciate e sotto ogni nuovo sole, meno fronda e meno fronda, fino a trasformare quella celebrazione del verde in un campione di scheletri affilati. La maggior parte delle persone appena interpreta una semplice storia su un giornale. Una percentuale minima legge poco più di un libro all’anno. Con poche parole che a volte sono scritte male, molti dei nostri giovani, che crescono senza orizzonti in una giornata grigia e stanca, si esprimono. Italo Calvino scrisse: “La letteratura (e forse solo la letteratura) può creare degli anticorpi che contrastino l’espandersi della peste del linguaggio”. Ma quelli che sono d’accordo con Calvino riescono a malapena a gestire le loro vite. Chi diffonde gli anticorpi necessari per affrontare questa piaga che corrode migliaia di anni di evoluzione umana? Noi, forse pochi in relazione a tanti recitatori applauditi nei saloni festivi, amministriamo la nostra povertà in modo tale da risultare ogni tanto il risparmio di un pane da condividere nella strada.
“Se guardi dietro i vetri innaffiati
oltre i cespugli del pantano
larve agonizzano spettrali
che contendono ai topi
cartocci arrugginiti di escrementi
se apri le braccia balza al cuor
Valle del Belice dove
i congiunti sotto le rovine
chiamano un popolo che attende
col tufo sul viso ancora l’alba” hai scritto.
Tradurre la tua poesia in spagnolo è stato un onore e un piacere per me. Ho raccolto, come ho detto all’inizio di questa lettera, le emozioni, l’identità, i ricordi. Anche la bellezza. Nutrienti per rendere il percorso che non seguo da solo, un percorso che prima o poi dovrebbe portare a un orizzonte chiaro. È la nostra sfida per i tutti i nostri figli. Spero, caro fratello, come sai, che questa semplice bandiera etica e amorevole, vada da mano in mano, come in una giornata di festa.
“Nell’intelletto abraso
transitano messaggi
mentre m’innalzo a stendere
un rigo di luce tra due rive (…)”
Condannati ai sogni, dolce condanna, al generoso sacrificio e all’amore, gestore delle necessarie fraternità universali,
Ti abbraccio, in poesia, Gabriel Impaglione
Gabriel Impaglione è nato a Buenos Aires nel 1958, poeta e giornalista argentino. Autore di: “Echarle pájaros al Mundo” (Ediciones Panorama, BsAs, 1994), “Breviario de Cartografía Mágica” (El Taller del Poeta, Galicia, 2002), “Poemas Quietos” (Antol. Editorial Mizares, Barcelona, 2002), “Bagdad y otros poemas” (El Taller del Poeta, Galicia, 2003), “Letrarios de Utópolis”.
“Qui disfa
Il suo rossore il giorno
E l’acqua che va
Con vele di madreperla
Si porta i baci
Carichi d’amore
Verso alte piogge.”
Gabriel Impaglione da “Giovannía: poesia d’amore”
Isla Negra 12/422 – casa de poesía y literatura
Publicación inscripta en el Directorio Mundial de Revistas Literarias UNESCO direttore:Gabriel Impaglione
“Nell’intelletto abraso
Transitano messaggi
Mentre mi innalzo a stendere
Un rigo di luce tra due rive.
EL FINAL DE LOS POETAS
Le tarde de marzo muere en el Tirreno
El gesto rechaza la palabra
Ya te pierdes en el vacio sideral
Con les cruces del Sur en processione
En tu lamentu de sir vivo
Agujerando par la sìlabra.
Un viento a sueldo te comunica
El final des los poetas mendo reflexionas
El auncio funebres, maledices
El istante trapasado en los sienes,
pero còsmica es la luz en que te pierdes.
En “Messaggio d’amore”
Ed TERZO MILLENNIO.Rivista Internazionale di Letteratura-ITALIA
Version al castellano de Gabriel
Impaglione
Poesia d’amore
(A mia moglie)
Ogni giorno con te
occhi di miele
con te vivo visioni nuove
– nel vortice delle ore
inventario di proteste e di martiri
stracci di speranze spalancate
sullo sgomento di strade offuscate
bocche soffocate nel giorno
dal clamore di voci deserte
– mani slogate a impastare
matasse di albe e di tramonti
– mani spalancate ad aspettare
la spugna di Cristo e della storia
– le tue mani dipinte di incertezze
sull’orizzonte del domani
e dentro, dentro un mondo vuoto
a stento in quel momento trattenuto
dal bianco fluorescente del tuo seno
– fuori il tempo corrode la mente
su lamiere di acque peregrine
e nelle vetrine l’abbaglio dei consumi
apre prospettive disperate
al tuo destino
ogni giorno con te
la tua voce soave
percuote questa stanza
dove confeziono rochi manichini
sepolto nel tunnel quotidiano
– ti chiedo notizie dell’amore
mi parli di un universo senza fine
ti chiedo se il cuore può sperare
che l’alba di domani
vedrà sorgere un giorno senza tempo
tu immersa
nel viola del silenzi
sorridi e sembri attenta
ad uncinarmi dentro fatui enigmi
ogni giorno con te
viola d’amore
io dipingo prati di ninfee
mentre nel sangue s’aggira l’ago del dolore
la mente affonda nel tuo sogno segreto
si confonde trafitta dalla luce
nel mio labirinto di rovine
e devasta l’acropoli del cuore
ogni giorno con te
con te ricerco
nello stridore dei tramonti
il profumo dei fiori
il senso reale dei colori
il mio essere perduto
nel risucchio dei giorni e del futuro
mentre tu allodola gentile
ti nascondi nel velo dei sogni
e non rispondi
ogni giorno con te
sei dolcissima
con me che riaffondo nella palude del male
e mi consumo sul molo ad approdare
nel precipizio dei giorni alle tue mani
che scintillano nella muta stanza
tra il brusio furtivo dei minuti
sempre più belle sempre più lontane
Poesía de
amor
(A mi esposa)
Cada día contigo
ojos de miel
contigo vivo visiones nuevas
– en el espiral de las horas
inventario de protestas y martirios
harapos de esperanzas abiertas
sobre el miedo de calles oscuras
bocas sofocadas en el día
por el clamor de desiertas voces
– manos desarticuladas de amasar
ovillos de albas y de ocasos
– manos echadas a esperar
la esponja de Cristo y de la historia
– tus manos pintadas de incertidumbres
sobre el horizonte de mañana
y adentro, adentro un mundo vacío
fatigado en aquel momento detenido
por el blanco fluorescente de tu seno
– afuera el tiempo corroe la mente
sobre láminas de aguas peregrinas
y en las vidrieras el ladrido del consumo
abre desesperadas perspectivas
a tu destino
Cada día contigo
tu voz suave
golpea este cuarto
donde confecciono sordos maniquíes
sepulto en el túnel cotidiano
– te pido noticias del amor
me hablas de un universo sin fin
te pregunto si el corazón puede esperar
a que el alba de mañana
vea surgir un día sin tiempo
tú immersa
en el violeta de los silencios
sonríes y pareces dispuesta
a apresarme en vanos enigmas
cada día contigo
viola de amor
yo pinto prados de ninfas
mientras en la sangre ronda la aguja del dolor
la mente se hunde en tu sueño secreto
se confunde atravesada por la luz
en mi laberinto de ruinas
y desvasta la acrópolis del corazón
cada día contigo
contigo busco
en los rumores del crepúsculo
el perfume de las flores
el sentido real de los colores
mi ser perdido
en la vorágine del presente y del futuro
mientras tú pájaro gentil
te escondes tras el velo de los sueños
y no respondes
cada día contigo
eres tan dulce conmigo
y yo me hundo en los pantanos
del mal
me consumo en el muelle para embarcar
en el precipicio del día sobre tus manos
que brillan en el mudo cuarto
entre el murmullo furtivo de los minutos
siempre más bellos siempre más lejanos
Allá arriba día a día
montones de huesos exhalan
gemidos de hambre, alrededor
fulgurantes cajitas cromadas
que protegen sombreros de plumas
y cigarros entre labios babeantes
me pisotean el corazón.
Dios de la nada
Dios de la nada y del dolor,
dios de los pobres, Dios mío,
asísteme te ruego para subir
los escalones de la oscuridad
con la carga del mal
y la pena del prójimo en el corazón.
Empujado por convulsas fantasías
he caminado racionales espirales
con la fuerza de los ojos,
arriesgué ante la fosa de los leones,
el oasis de vidrio,
la sombra, la masacre.
Ahora en el desierto del alma,
en el descenso homogeneo de la carne,
en el incendio de la historia y del futuro,
asísteme te ruego te prego a recortar
en la mezcla de la sangre y el pensamiento
la vela, la nube que salve,
la fuga al precipicio en el azul.
Dios de nada y del dolor,
Dios emergido de lo oscuro a intermitencias
en el delirio injusto del injusto,
asísteme te ruego mientras desgrano
istoria de piedad y de esperanza,
rientra trastabillo en otras ionósferas
y me obstino en esperar,
araña pegada al vidrio del porqué,
tu señal, la uña que arranque
el jeroglífico del día,
el sabor del cielo y del infierno,
al alma regresará la dulzura,
al mundo desconcertado su luz.
Il cielo rotola in lembi di cristallo
Tento con rosolata mano
Di trattenere il giorno che precipita
Dai rami stravolti nella sera.
“El cielo rueda en bordes de cristal
busco con dorada mano
detener el día que precipita
desde los deformados ramos de la noche “
Dio del nulla e del dolore
Dio dei poveri mio Dio
assistimi ti prego nel salire
i gradini del buio
con l’involucro del male
con la pena del prossimo nel cuore.
Lo incontrai alla stazione che partiva
l’interrogai, mi rispose – Vado via
in questi luoghi non ho più nessuno
la mia terra verde fiorita
non ha uno spicchio di pane per me.
Più tardi appresi
che era rimasto sepolto sotto il crollo
di una miniera in Belgio.
Gli amici assorbivano tristi
il fiato delle mie parole:
in quella storia sentivano ripetere
la vita di tutti loro.
Quisieras agujerear
Quisieras agujerear
la caparazón sigilada
de resignada conchilla
y dejarte arrastrar
al remolino del azahar.
Pero hierve la ola,
el fuego seca estrellas y cielo,
sobre el borde del alma
tú ya no respiras,
el mareo asciende
y el mal se anula.
Otro día
Otro día
se arquea sobre nosotros
el armisticio terminó
en el registro
la red de sueños se ha destejido.
El hombre persiste en descomponer la unidad
y cabalgando satélites
va a la
caza del oculto dios
Le ultime gemme
Le ultime gemme
luccicano sui tralci
nell’eccidio del giorno
nell’eclissi del mondo
sono i tuoi occhi di stella marina
che scintillano negli abissi della
notte
sono i tuoi occhi di fata morgana
che mi accecano sul molo di
Messina
nella livida stagione della
diossina
Las últimas gemas
Las últimas gemas
brillan sobre las ramas
en la masacre del día
en el eclipse del mundo
son tus ojos de estrella de mar
que brillan en los abismos de la noche
tus ojos de maga o espejismo
que me ciegan sobre el muelle de Messina
en la lívida estación de la dioxina
Maggio ‘68
Maggio ‘68
nella cortina del porto
un concerto di clacson
sventolano stendardi
ringhiano slogans impazziti
in testa lacera l’aria
il fischietto della storia
Tu nella grotta della Fata
Morgana
trafitto dalla vergine schiuma
d’ira e d’amore
rigeneri covate d’ideali
sull’argine vergine del mare
riesplodono i sogni sgozzati
sugli specchi degli anni favolosi
analizzi sbricioli assiomi
e nei vergini inganni
della nuova frontiera
affondi dolcemente
tra riverniciate pareti d’utopia
Mayo ‘68
Mayo ‘68
en la zona del puerto
un concierto de bocinas
flamean banderas
ladran consignas enloquecidas
lascera el aire la cabeza
con el silbato de la historia
Tú en la gruta de la maga Morgana
atravezado por la espuma intacta
de la ira y el amor
incubas ideales
sobre el virgen terraplén del mar
florecen los sueños degollados
sobre espejos de años fabulosos
analizas axiomas triturados
y en los castos engaños
de la nueva frontera
te hundes dulcemente
entre repintadas paredes de utopía
Uscire e non sapere
I
Uscire e non sapere dove andare
con la pioggia che devasta le ferite
dei prati e delle strade
gremite di silenzio e di sgomento
II
Incagliato nella tela del finito
mentre bevi l’ umido sole nella mano
vedi tra gli alberi di fiato
schizzare trecce di sogni dalle dita
verso un pollice di cielo rischiarato
da una freccia di luna dove sai
la rassegnazione la certezza il bene
legato a un filo bianco
Salir y no saber
I
Salir y no saber adonde
ir
con la lluvia que arrasa
las heridas
de prados y calles
hartas de silencio y
consternación
II
Varado en la tela de la
finitud
mientras húmedo sol bebes
en la mano
ves tras los
árboles del aliento
como salpican los dedos
sueños trenzados
hacia un pulgar de cielo
claro
flecha de luna donde
distingues
la resignación la certeza
el bien
atado a un hilo blanco
Oltre i cancelli
Oltre
i cancelli scorticati dal furore
nella gola dei passeri scoppia il giorno
le valve si arrendono al dolore
per la clemenza dell’ombra
al vertice la speranza burocratica
del bene – nell’aria invalicabile
la libertà prescritta dai tuoi sibili
è nei limiti lussuoso arredamento
Incolonnato
nell’ ansia della resa
ascolti il delirio di chi muore
in cifre di disfatta e sperimenti
le piaghe del coraggio
bruciato su sentieri padronali
dove i mandorli fioriti sono la mano
aperta del cielo che solleva
dentro una nuvola di luce
Más allá de los portones
Más allá de los portones desollados por la
furia
en la garganta de los
pájaros estalla el día
Las ostras se rinden al
dolor
hasta la clemencia de la sombra
En la cima la esperanza
burocrática
del bien – en el aire
infranqueable
la libertad establecida por
tus silbidos
es en el límite un lujoso
mobiliario
Encolumnado en el ansia de la rendición
escuchas el delirio de
quien muere
en cifras de derrota y
experimentas
las llagas del coraje
quemado en los senderos del
patrón
allí los almendros en flor
son la mano
abierta del cielo que alza
una nube de luz
La fine dei poeti
La
sera di marzo muore nel Tirreno
il gesto rifiuta la parola
già sbandi nel vuoto siderale
con le croci del Sud in processione
nel tuo lamento di vivo
forato dalla sillaba
Un
vento stipendiato ti comunica
la fine dei poeti muto valuti
l’annuncio funerario maledici
l’attimo trafitto nelle tempie
ma cosmica è la luce in cui ti perdi
El final de los poetas
La tarde de marzo muere en el Tirreno,
el gesto rechaza la palabra,
ya te pierdes en el vacío sideral
con las cruces del Sur en procesión
en tu lamento de ser vivo
agujereado por la sílaba.
Un viento a sueldo te comunica
el final de los poetas, mudo reflexionas
el anuncio fúnebre, maldices
el instante traspasado en las sienes,
pero cósmica es la luz en que te pierdes.
Dialogo muto
Tutto
nel buio è dialogo muto
il giorno miraggio che uccide
la cronaca tortura
il cuore insidia
Il
transistor trama accordi nella notte
per te che non ascolti in sintonia
con un’onda tua
rare
voci
scheggiate nel grido quotidiano
la gioia di ferite
di creatura schiava della terra
nell’ansia che l’azzurro la rivesta
Vorresti
lenire
la dannazione fraterna
mentre pestato da mille mani
cerchi sull’òrbita incompiuta
lo spasimo del nulla o il bene eterno
Diálogo mudo
Todo en lo oscuro es diálogo mudo
el día ilusión que
mata
la crónica tortura
el corazón engaño
La radio trama acuerdos en la noche
para ti que no escuchas en
sintonía
con tu onda
voces extrañas
astilladas en el grito
cotidiano
alegría de heridas
de criatura esclava de la
tierra
ansiosa que el azul la
cubra
Quisieras atenuar
la maldición fraterna
mientras golpeado por mil
manos
buscas en la incompleta
órbita
el espasmo de la nada o el
bien eterno
L’insania di scrivere versi
Ora
blàteri da microfoni spaziali
dove hai dovuto trasferire
l’insania di scrivere versi
Nessuno
sa la ragione del tuo esilio
e come uccida
prorogare tutte le scadenze
quando il trionfo è gioco clientelare
ma dentro prevalse l’ideale
l’impegno politico fu amore
ad un’Isola di lutti
perciò fu fatale la ferita
Nella solitudine
astrale
ora smerigli tarde primavere
e sogni soltanto di guarire
La locura de escribir versos
hablas a destajo desde micrófonos espaciales
donde tuviste que
transferir
la locura de escribir versos
Ninguno sabe la razón de tu exilio
y cómo mata
prorrogar todas las
obligaciones
cuando el triunfo es
clientelismo
Pero dentro prevalece el
ideal
el empeño político fue
amor
a una Isla enlutada
por esto fue fatal la
herida
En la soledad astral
pules tardías
primaveras
y sólo sueñas en sanar
La stanza di carta
Presto
fuggirò dalla stanza
di carta illuminata
dai miei errori
nell’assenza il quaderno
attenderò la mano che lo frughi
c’è il tempo speso in folli itinerari
sordo all’appello familiare
del pane certo
c’è il segno della mia riconoscenza
per chi ha impagliato
ghirlande di sogni nel mio inverno
c’è il senso di una vita
tentata con ragioni in cui ho creduto
la preghiera del dovere
bevuta sino al sorso dell’addio
Già
nell’abisso fumano i pagliai
sotto la luna i contadini s’imbarcano
su vascelli di memoria e di demenza
nel prurito dei tizzoni s’agita il vento
che verrà a strapparmi l’ultimo grido
Chissà
se dietro le tendine dissestate
vivrà il guaito una parola
La habitación de papel
Pronto huiré de la habitación
de papel iluminado
por mis errores
en la ausencia esperaré la
mano
que urgue mi cuaderno
está el tiempo gastado en
loco itinerario
sordo al llamado
familiar
del pan seguro
está la señal de mi
reconocimiento
para quien ha dado
cuerpo
a las guirnaldas de sueños
en mi invierno
está el sentido de una
vida
tentada de razones en las
que he creido
la oración del deber
bebida hasta el sorbo del
adiós
Ya en el abismo humean los pajares
bajo la luna se embarcan
campesinos
sobre naves de memoria y
demencia
en el escozor de la brasa
se agita el viento
que vendrá a arrancarme el
último grito
Quizá si detrás de los ruinosos tendones
se lamente una palabra
So che verrai
So che
verrai questa notte
agitando la mano bianca di farfalla
nell’inganno della mia fatua luce
Non tarderò ad aprire la finestra
e
finalmente sepolto nel tuo abbraccio
sentirò cembali intonare
un concerto d’amore e di pietà
Sé que vendrás
Sé que vendrás esta noche
agitando la blanca mano de mariposa
en el engaño de mi luz fatua
no tardaré en abrir la ventana
y finalmente hundido en tu abrazo
sentiré los címbalos entonar
un concierto de amor y de piedad
Tra due rive
Il
cranio del Re fuma
su nevrotici precipizi
oscilla la rondine tra i fili
accerchia le antenne a fiotti d’ala
abbozza profili di partenze
L’ultima
mosca crepita
nella maglia del ragno
Nell’intelletto
abraso
transitano messaggi
mentre m’innalzo a stendere
un rigo di luce due rive
Entre dos orillas
El cráneo del Rey fuma
neuróticos
precipicios
oscila la golondrina entre
los hilos
circunda las antenas a
golpes de ala
ensaya perfiles de partida
La última mosca crepita
en la red de la araña
En la erosionade
CONCITA DE GREGORIO
Concita De Gregorio nasce il 19 novembre del 1963 a Pisa, figlia di Paolo (magistrato toscano) e Concha (originaria di Barcellona): il suo nome è lo stesso della mamma e della nonna, secondo l’uso del capoluogo catalano di tramandare il nome tra primogeniti. La futura giornalista cresce a Biella (dove frequenta le elementari) a causa del lavoro del papà; da adolescente torna a Livorno e si diploma presso il liceo classico “Niccolini Guerrazzi”, per poi laurearsi in Scienze Politiche all’Università di Pisa.
Le prime esperienza nell’informazione – Già durante gli studi universitari comincia a lavorare presso televisioni e radio locali toscane; nel 1985 entra a far parte de “Il Tirreno”, quotidiano livornese, dove lavora per le redazioni di Livorno, Piombino, Pistoia e Lucca, occupandosi soprattutto di cronaca nera
I primi anni presso La Repubblica – Nel 1990 giunge al quotidiano “Repubblica” grazie alla vittoria nel concorso Mario Formenton: assunta al giornale di Largo Fochetti da Eugenio Scalfari viene accolta sotto l’ala protettiva di Giampaolo Pansa e si occupa di politica interna (a lei si dovrà l’introduzione del termine “girotondini“) e cronaca.Nel 1994 diventa madre del suo primo figlio, Pietro, avuto dal marito Alessandro Cecioni (giornalista, tra l’altro autore di un libro sul mostro di Firenze), mentre due anni più tardi nasce Lorenzo.
I primi libri
Nel 2001 Concita
De Gregorio pubblica per
Laterza il suo primo libro, intitolato “Non lavate questo sangue. I giorni di
Genova”, dedicato alle violenze avvenute durante il G8 tenutosi nell’estate di
quell’anno nel capoluogo ligure; nel 2003 diventa madre del suo terzo figlio,
Bernardo.Nel 2006 scrive il suo secondo libro, “Una madre lo sa. Tutte le ombre
dell’amore perfetto”, edito da Mondadori (che entra nella rosa dei finalisti
del Premio Bancarella), e si occupa della postfazione del libro di Rosalind B.
Penfold “Le pantofole dell’orco. Storia di un amore crudele”, edito da Sperling
& Kupfer.
Prima donna alla direzione de L’Unità
Due anni più tardi deve affrontare la morte del padre Paolo; novità importanti si materializzano, poi, dal punto di vista professionale: non solo grazie alla pubblicazione del libro “Malamore. Esercizi di resistenza al dolore”, edito da Mondadori, ma soprattutto grazie alla sua nomina a direttrice de “L’Unità“.Una nomina che, per altro, non manca di suscitare polemiche, visto che la notizia dell’arrivo di Concita De Gregorio al quotidiano fondato da Gramsci, viene resa nota attraverso la diffusione delle anticipazioni di una sua intervista rilasciata alla rivista “Prima Comunicazione”: le anticipazioni suscitano clamore, con il comitato di redazione dell’”Unità” che protesta contro le modalità di annuncio del cambio alla direzione attraverso un’intervista.Il 22 agosto del 2008, comunque, sopite le polemiche, Concita – fortemente voluta da Walter Veltroni – diventa la prima donna a dirigere “L’Unità”, prendendo il posto di Antonio Padellaro.Dopo avere scritto la prefazione del libro di Ascanio Celestini “La pecora nera. Elogio funebre del manicomio elettrico”, edito da Einaudi, la giornalista si occupa anche delle prefazioni di “Penelope alla guerra”, opera di Oriana Fallaci riedita da Bur, e di “Michelle Obama First lady della speranza”, opera di Elizabeth Lightfoot pubblicata in Italia da Nutrimenti.Nel 2010 Concita De Gregorio riceve il Premio Renato Benedetto Fabrizi e pubblica per Il Saggiatore “Un paese senza tempo. Fatti e figure in vent’anni di cronache italiane”. Realizza, inoltre, le prefazioni dei libri di Anais Ginori “Pensare l’impossibile. Donne che non si arrendono” (Fandango) e di Giovanni Maria Bellu e Silvia Sanna “100 giorni sull’isola dei cassintegrati” (Il maestrale).
Il ritorno a Repubblica
Nel luglio del 2011 la giornalista toscana lascia “L’Unità” (Pierluigi Bersani le preferisce Claudio Sardo) e fa ritorno a “Repubblica”. Nello stesso anno pubblica con Einaudi “Così è la vita. Imparare a dirsi addio” (in cui affronta il tema della morte e dei vari modi per farvi fronte), e per il libro “Sul velo. Lettere aperte alle donne musulmane” di Nicla Vassallo e Marnia Lazreg scrive “La velata”.A novembre del 2011 suscita scalpore un suo intervento nel corso di un convegno all’Università di Pisa in occasione del quale rivela che un importante dirigente del Partito Democratico le ha confessato che il partito ha volutamente perso le elezioni regionali del Lazio del 2010 per agevolare Renata Polverini, candidata di Gianfranco Fini, e favorire quest’ultimo nella sua campagna contro Silvio Berlusconi per sfaldare il Pdl.Le dichiarazioni di Concita De Gregorio alzano un polverone di polemiche, in seguito al quale lei si difende accusando i mezzi di comunicazione e i giornali di essere ipocriti.Nel 2013, ancora con Einaudi pubblica “Io vi maledico”, un’inchiesta sul sentimento di indignazione e rabbia che pervade l’Italia contemporanea; inoltre, inizia a condurre su Raitre la trasmissione “Pane quotidiano“, in onda ogni mattina dal lunedì al venerdì, dedicata alla cultura e alla letteratura.
I progressi della scienza medica fanno sì che, sempre più spesso, i confini tra la vita e la morte divengano incerti, il caso di Eluana Englaro, ma non solo, ha scatenato in Italia una forte ondata di emozioni e allo stesso tempo una serie di violente reazioni politiche e giudiziarie, l’opinione pubblica si è spaccata in due e ancora oggi sembra non esistere un’idea condivisa sui limiti e i doveri della medicina di fronte a casi di malati incurabili, a cui tutto di un’esistenza normale è negato, eppure indubbiamente vivi. Concita De Gregorio torna ai suoi lettori con un viaggio al cuore di una domanda cruciale per la nostra contemporaneità: quali sono i confini della medicina? Un viaggio che si compie attraverso l’incontro e la discussione appassionata con alcuni dei più importanti medici che operano e partecipano oggi al dibattito pubblico in Italia (come ad esempio Ignazio Marino o Angelo Vescovi) o con quanti hanno più di altri saputo raccontare il dolore e tutte le emozioni che attraversano la pratica medica (come ad esempio Marco Venturino).
MI SA CHE FUORI è PRIMAVERA
Numerosi sono i motivi che spingono alla lettura di
questo libro. I fatti, hanno avuto e una eccezionale risonanza mediatica
per l’assurdità in essi racchiusa. Irina, madre di due gemelle di sei
anni, perde a distanza di pochi giorni figlie e marito. Le bambine sono
sparite, il loro papà pone fine alla sua vita in Italia, facendosi travolgere
da un treno dopo aver meticolosamente parcheggiato l’ auto e ancor prima
distrutto qualsiasi traccia del suo operato.Quando si diffonde di queste
la notizia di tale tragedia, la compartecipazione emotiva è immediata e
trasversale, ma smorzatasi l’onda del turbamento rimangono però i morti
viventi, coloro che la tragedia l’hanno sofferta, ma si accendono le ipotesi,
le malignità,i commenti,gli interrogativi sia sui motivi dei tragici eventi,sia
sulla destinazione dei bambini,insomma tutti salgono sul pulpito di giudici. Ma
il desiderio di sapere, di giustificare, di incolpare , forse, nell’intimo, per
appianare le proprie paure, di scandagliare a fondo anime e psicologie per
evitare di farlo con le nostre o con quelle dei propri cari e così,
repentinamente, si diventa morale, giudice, etica e regola.La lettura di questo
piccolo libro potrebbe allora portare ad una riflessione profonda, al
superamento di una certa malcelata morbosità, a scoprire un messaggio positivo
ed equilibrato. Irina ha bisogno, a distanza di quattro anni dai tragici fatti,
di scrivere e quindi di comunicare e lo fa cercando e usando come intermediaria
la De Gregorio che, con grande delicatezza, sparisce quasi in queste pagine e
si presta mirabilmente a restituirci l’immagine di una donna che si ama e che
ama, a dispetto di tutto.
In brevi capitoletti si alternano le voci femminili in questione; Concita offre
una sorta di cronistoria dell’incontro fra le due e del loro lavoro di
conoscenza reciproca, Irina scrive missive e rivolgendosi all’archivista
ottusa, alla maestra latitante, alla nonna, al padre, al giudice o allo stesso
marito all’epoca dei fatti, offre la storia di se stessa, della sua famiglia
d’origine, della sua famiglia, delle indagini e del suo percorso successivo. Si
rapporta ad una dimensione temporale che ormai non la rende più schiava delle
quotidiane categorie temporali di ieri, oggi e domani, vive il presente e
riscopre se stessa e l’amore. Riporta una serie di coincidenze nella
propria storia che la fortificano nella convinzione di essere parte di un tutto
che tende a presentarsi e ripresentarsi per annullarsi e risolversi per poi
riproporsi.La Concita De Gregorio riesce ad inabissarsi nel guscio della storia
e si limita alla trascrizione fedele del racconto della madre,senza lasciarsi
travolgere dal dipanarsi misterioso dalla assurda crudeltà degli avvenimenti
luttuosi e senza accentuare con gli strumenti di una vera e controllata
scrittura,il racconto sconvolgente di una madre,che si è vista improvvisamente
sola, privata dal marito e dalla misteriosa scomparsa dei suoi due bambini,riuscendo
a metabolizzare la tragedia senza perdere la speranza di potere rinascere dalle
ceneri del suo destino,come l’araba fenice. La lettura si rivela molto utile a
superare una condizione di radicale disperazione,dopo aver attraversato la
bufera del dolore e si ha una biologica voglia di avere una soluzione del
caso, che la giustizia umana non ha ancora prodotto, ma che permette, in un
arco di tempo relativamente breve- quattro anni- ,di sapere come riesce una
mamma a vivere e a non sopravvivere, dopo le più crudeli ferite inferte da un
incomprensibile destino. .
IO VI MALEDICO
lo vi maledico c’è scritto sulla lapide di marmo che un operaio dell’Ilva di Taranto ha voluto mettere per strada, sotto casa sua. E “Io vi maledico”, dice la figlia dell’imprenditore che si è ucciso strozzato dall’usura bancaria. Sono due delle storie che compongono il ritratto corale di un Paese disorientato, in cui rabbia e frustrazione possono trasformarsi in malattia sociale o in vento di cambiamento. C’è il ragazzo sardo che voleva partecipare a X Factor, non l’hanno preso ed è tornato in miniera. C’è Michele, 4 anni, che ha fatto il test per misurare la rabbia e doveva prendere delle medicine, ma sua madre ha deciso di no. La fatica dei genitori, la sazietà disillusa dei figli. Emanuela che ha scritto due volte a Marchionne e che sa – glielo ha spiegato suo padre – cosa significa “comportarsi da uomo”. C’è Milagros che racconta che gli indignados sono orfani delle carte di credito e figli degli sfratti. C’è la rabbia degli adolescenti, cui i professori non sanno dare risposte. Ci sono cinque donne sindaco del Sud, dove le teste di maiale non son maschere da indossare alle feste. E c’è Atesia, dove le donne del call center rispondono la notte ai maniaci per non perdere 80 centesimi lordi. Un ritratto scritto con parole dure come la pietra. O come la verità. Unico antidoto alla rabbia di chi è stanco di non essere ascoltato.
E NON LAVATE QUESTO SANGUE
Quando, nel luglio 2001, Concita De Gregorio mette piede a Genova per raccontare ai lettori del suo giornale il vertice del G8 non sa che, nei tre giorni successivi, assisterà a una delle pagine piú tristi della storia del nostro Paese. In una città blindata, oppressa da una cappa di tensione, le forze dell’ordine e i manifestanti si scontreranno in una sanguinosa guerriglia urbana. E la morte di Carlo Giuliani riporterà le lancette della storia indietro di qualche decennio. A distanza di quindici anni, il diario di cronista dell’autrice diventa un modo per ricordare un evento che ha segnato un prima e dopo Genova. Per restituire l’andamento di quei giorni, l’inizio lieve, la sorpresa, lo spavento e lo smarrimento. E, insieme, l’occasione per tracciare il bilancio di una vicenda che brucia ancora nel ricordo.
COSI’ E’ LA VITA (2011)
Imparare a dirsi addio
I bambini fanno domande. A volte imbarazzanti, stravaganti, definitive. Vogliono sapere perché nasciamo, dove andiamo dopo la morte, perché esiste il dolore, cos’è la felicità. E gli adulti sono costretti a trovare delle risposte. È un esercizio tra la filosofia e il candore, che ci obbliga a rivedere ogni volta il nostro rassicurante sistema di valori. Perché non possiamo deluderli. Né ingannarli. Siamo stati come loro non troppo tempo fa. Dell’invecchiare, dell’essere fragili, inadeguati, perfino del morire parliamo ormai di nascosto. Ai bambini è negata l’esperienza della fine. La caducità, la sofferenza, la sconfitta sono fonte di frustrazione e di vergogna. L’estetica dell’eterna giovinezza costringe molte donne nella prigione del corpo perfetto e le inchioda dentro un presente mortifero, incapace di darci consolazione, perfino felicità. In questa intensa, sorprendentemente gioiosa inchiesta narrativa, Concita De Gregorio ci chiede di seguirla proprio in questi luoghi rimossi dal discorso contemporaneo. Funerali e malattie, insuccessi e sconfitte, se osservati e vissuti con dignità e condivisione, diventano occasioni imperdibili di crescita, di allegria, di pienezza. Perché se non c’è peggior angoscia della solitudine e del silenzio, non c’è miglior sollievo che attraversare il dolore e trasformarlo In forza.
Chi sono io? Autoritratti, identità, reputazione. Ediz. illustrata
Attraverso una lunga ricognizione nel territorio della fotografia femminile, la scrittrice interroga, e si interroga sul senso e il valore di un gesto: quello dell’autorappresentazione. “Nel impegnativo percorso di studio, ricerca e seleziona la fantastica galleria di autoritratti femminili, dalla fine dell’Ottocento alle giovani artiste che pubblicano oggi i loro lavori sui blog, soffermandosi a parlare a lungo con cinque fotografe. A tutte – Guia Besana, Silvia Camporesi, Anna Di Prospero, Simona Ghizzoni, Moira Ricci – ha chiesto delle loro fotografie e notizie sulla loro vita; Le fotografe hanno risposto raccontandomi,con dovizia di particolari la loro storia: i rapporti avuti con la famiglia, con la madre, la spensieratezza dell’infanzia,e poi il convulso procedere del tempo che proietta nella solitudine e accende la paura di vivere in perenne incertezza, la parabola dello splendore del corpo e della sua dolorosa decadenza, gli attimi sfuggenti della passione sessuale, la felicità e il conforto del tempo dedicato ai figli. Il tempo, l’ossessione del tempo: assenza, presenza. Pieno e vuoto. Cercarsi, mancarsi. Incontrare, incontrarsi e, in tali itinerari,la.scrittrice ricerca metaforicamente risposte convincenti agli.angosciosi enigmi sugli oscillanti percorsi esistenziali inizialmente gioiosi e poi gradualmente logorati dall’avidità del tempo, un vero racconto di vite,incise in ritratti imbalsamati,ma racchiudono nell’immobilità silente di una cornice, un serbatoio memoriale che formicola sotto le sembianze del ritratto,da cui si irradiano impulsi benefici di vita che diventano la medicina al male di vivere. Un filo invisibile intreccia autonomamente le diverse episodicamente esistenze immortalate nel ritratto, ma la scrittrice neIl’urgenza della ricerca di un consenso e di una condivisione pure accidentale, rinviene talvolta pure in irrilevanti segnali,un segreto codice esistenziale personale e universale,a cui appigliarsi,per sentirsi legati agli altri da un comune destino.
NELLA NOTTE (2019)
Con il presente romanzo,Concita De Gregorio conferma le sue eccezionali capacità di scrittrice limpida, di giornalista che nelle redazioni dei gionali,in cui ha lavorato ( da “Il tempo”,a “Repubblica”,a “L’espresso”,a “L’unità”, che ha diretto per due anni, contrastata dalla redazione per le modalità in cui la sua nomina è avvenuta,dotata di una encomiabile onestà intellettuale, che traspare in ogni suo romanzo e nelle sue inchieste e nelle trasmissioni televisive, si merita il riconoscimento di primo piano nella storia della nostra nuova letteratura e ,particolarmente nell’ambito femminile. Infatti,sia per il pregio di un simmetrico e coerente sviluppo strutturale,sia per la penetrante perforazione di situazioni enigmatiche che avvengono dietro le quinte del potere e di notte,quando si realizzano in segreto dossieraggi o accoltellamenti politici degli stessi compagni di partito, per eliminarli con inventate accuse e documenti e spanarsi la strada per conquiste di prestigiosi incarichi di potere o organizzati dagli stessi partiti che, servi dei forti poteri esterni,che li sostengono finanziamenti,creano alleanze con altre forze politiche, per abbattere facilmente (o creano le condizioni per farli cadere con pretestuose argomentazioni, apposta montate, facendo apparire responsabili del disastro economico, finanziario, giuridico, politico ed etico gli alleati di governo o sotto la maschera della finzione umanitaria o della sicurezza dei cittadini,armano con superficialità la mano dei cittadini per autodifendersi dai notturni incursioni di delinquenti che,con l pistole in mano e con il passamontagna in testa,minacciano di morte vecchietti o disabili,massacrandoli con torture o freddamente e barbaricamnte li uccidono,dopo averli rapinati di pochi euro. La protagonista che, nel giro della sua attività giornalistica, ha ben registrato da vicno il vero volto della bestia umana mascherata di apparente dolore e di pietà,per allontanare ogni sospetto dalle sue responsabilità in trame criminose,come anche spessissimo avviene nel mondo degli apparti pubblici miliardari, da assegnare con ogni trucco ai complici insospettabili, che le forze dell’ordine o i servizi segreti, ne mostrano il volto e il torbido sguardo,con le catene ai polsi nell’atto di proteggersi il viso con la manica della giacca. La giovane e brava giornalista abbandona la sua attività che le fa scoprire intrighi ributtanti. Anche la sua amica giornalista, Alice, meravigliata della scelta della compagna, compie la stessa esperienza nel giornale e compie la stessa scelta dell’amica Nora. Anch’essa ha visto con ripugnanza ed orrore, la “macchina del Fango”,sempre pronta a distruggere e farne sparire il corpo,per libidine sessuale,per famelicità di denaro eper ubriacatura di potere. Così, depurati da ogni pregiudizio, ci sembra che interpreti con coerenza ideologica,il ruolo dell’intellettuale impegnato,suggerito in altro periodo dai maggiori teorici del marxismo,ma obbedendo all’urlo etico della sua coscienza,molto solidale con le vittime del potere e dell’abberrazione esistenziale.
Trama
Nora D. studia a Pisa. Ha scelto di raccontare, nella sua tesi di dottorato, le ragioni che portarono alla mancata elezione del presidente della Repubblica nel corso di una celebre congiura politica di alcuni anni prima. Prova a ricostruire la vicenda attraverso il racconto confidenziale di alcuni protagonisti di quelle ore. Intitola il suo lavoro “Nella Notte” perché tutto, come spesso nei momenti cruciali della nostra storia, avvenne tra le sette di sera e le nove del mattino. Ma dove hanno luogo quegli incontri segreti? In quali palazzi, a che ora? Chi è il regista? Nora indaga. Dalle parole dei testimoni ricompone nei dettagli la congiura, si imbatte in un delitto. In virtù della qualità della sua tesi, trova un impiego di prestigio in un centro studi a Roma e arriva nella capitale, oggi. Il suo luogo di lavoro si rivela una centrale di dossieraggio, fulcro di una rete di ricatti e giochi di potere. Una “fabbrica del fango”. Decide di rinunciare all’incarico, ma incontra Alice: la sua migliore amica d’infanzia e giovinezza. Il centro studi diventa per Alice l’osservatorio ideale dove studiare il meccanismo delle tre Esse – Sesso, Soldi, Segreti – che governa l’informazione politica. Insieme le due ragazze avviano un’indagine parallela e segreta che, ripartendo dal delitto di quella notte decisiva, mette a fuoco la Guerra dei dossier: una serie di scandali sessuali che hanno coinvolto personaggi politici di primo piano e hanno cambiato il corso della storia. Muovendosi tra la cronaca politica, descritta nei suoi retroscena con profonda conoscenza delle persone e delle storie reali, e il ritratto di due giovani donne costrette ad agire in un mondo ostile – e molto maschile -, Concita De Gregorio racconta una storia di potere esemplare: la matrice del presente, la minaccia perpetua sul futuro. Un romanzo teso, elettrico, che ha il respiro del thriller e la potenza del ritratto generazionale.
MALAMORE
“Malamore è un libro del ù2008 e ha una forza che cresce col passare degli anni: cresce perché resta intatta, nel tempo, la vera domanda che lo anima. E la domanda non è perché gli uomini si sentano tanto spesso autorizzati a esercitare violenza – verbale, fisica, psicologica – sulle donne che sostengono di amare. La vera questione – mi pare, piuttosto – è perché le donne non siano in grado di respingere la violenza, quando la riconoscono. Cosa le induce, cosa ci induce a sopportare il crescendo di umiliazioni, le piccole angherie domestiche, le prepotenze pubbliche che sempre preludono a un epilogo tragico? Cosa ci fa credere di poter cambiare, accogliere, domare la minaccia? C’è una sorta di presunzione, dice l’antica favola che apre questo libro: la topolina si innamora del gatto, convinta che lo renderà vegetariano. C’è un oscuro sentimento profondo che si nutre di sensi di colpa, raccontano le tante storie di donne – celebri, anonime – che come stelle cadenti illuminano la scena del delitto. Esercizi di resistenza al dolore, recita il sottotitolo. Forse la chiave è qui: nella confidenza che le donne hanno col dolore, la palestra che serve a trasformarlo in forza. Ciascuno troverà la sua risposta, leggendo. Troverà qualcosa della sua storia e forse il coraggio di guardarla negli occhi. Se accadesse anche una volta sola, è per quella volta che ho scritto questo libro.” (Concita De Gregorio)
Le donne hanno più confidenza con il dolore. È un compagno di vita, è un nemico tanto familiare da essere quasi amico. Ci si convive, è normale. Strillare disperde le energie, lamentarsi non serve. Trasformarlo, invece: ecco cosa serve. Trasformare il dolore in forza. È una lezione antica, una sapienza muta e segreta: ciascuna lo sa. Le storie qui raccolte sono scie luminose, stelle cadenti che illuminano a volte molto da lontano una grande domanda: cosa ci induce a non respingere, anzi a convivere con la violenza? Perché sopporta chi sopporta, e come fa? Quanto è alta la posta in palio? Alcune soccombono, molte muoiono, moltissime dividono l’esistenza con una privata, indicibile, quotidiana penitenza. Alcune ce la fanno, qualche altra trova nell’accettazione del male le risorse per dire, per fare quel che altrimenti non avrebbe potuto. Sono, alla fine, gesti ordinari. Chiunque può capirlo misurandolo su di sé. Sono esercizi di resistenza al dolore.”
Concita De Gregorio sta pagando per tutti
L’ex direttrice dell’Unità racconta che il fallimento dell’editore, una legislazione arcaica e i tempi della giustizia l’hanno messa in una situazione impossibile che potrebbe capitare a qualsiasi giornalista.
Concita De Gregorio, ex direttrice del quotidiano l’Unità, conduttrice televisiva e collaboratrice di Repubblica, racconta che oggi non ha più un soldo e che il suo conto corrente è stato bloccato. La ragione è che, quasi dieci anni dopo aver lasciato la direzione dell’Unità, deve ancora affrontare decine di richieste di risarcimento danni per articoli pubblicati dal quotidiano quando ne era la direttrice. Questi debiti non sono direttamente suoi: ma dato che l’editore è fallito e molti dei giornalisti dell’epoca sono oggi disoccupati o irrintracciabili, De Gregorio è costretta a pagare per tutti.
È una trappola creata dall’incrocio di leggi arcaiche con i tempi biblici della giustizia italiana: non riguarda solo De Gregorio ma potenzialmente tutti i giornalisti italiani, e sono decine quelli che negli ultimi anni si sono già trovati in situazioni simili. De Gregorio, che fino alle ultime settimane aveva parlato raramente della vicenda, ha raccontato al Post: «Sono otto anni che mi sono messa a disposizione dei tribunali. Non chiedo niente a nessuno: non è una battaglia per me, ma per far sì che quello che mi succede non accada ad altri, ai giovani che fanno questo mestiere». La soluzione sarebbe mettere finalmente le mani nella superata legge italiana che regola la diffamazione a mezzo stampa, che risale oramai a oltre 70 anni fa.
La storia di De Gregorio comincia nel 2008, quando l’imprenditore e presidente della Sardegna Renato Soru la chiamò per dirigere lo storico quotidiano di sinistra l’Unità, che aveva appena comprato. De Gregorio ricorda che Soru era considerato una sorta di Steve Jobs italiano, fondatore di Tiscali, una delle principali società italiane di telecomunicazioni, oltre che un politico ambizioso e promettente. All’epoca si era da poco insediato quello che sarebbe diventato l’ultimo governo Berlusconi, e il giornale si preparava a un periodo di lotta politica frontale.
De Gregorio, che era già un’importante firma di Repubblica, accettò l’offerta. Si licenziò dal giornale e divenne la prima donna a dirigere il giornale fondato da Antonio Gramsci. I tre anni successivi furono un periodo di grandi cambiamenti per il giornale, nel formato (ridotto fino a diventare un “mezzo tabloid”, poco più grande dei giornali gratuiti) e nel sito, e di grandi campagne giornalistiche sugli scandali di Berlusconi, sul suo entourage e i suoi alleati. Le tracce di questi scontri si possono vedere nell’elenco delle cause civili che De Gregorio deve ancora affrontare: ce ne sono che arrivano da Silvio Berlusconi, da Paolo Berlusconi, da Augusto Minzolini e dalla famiglia Angelucci (gli editori dei quotidiani Libero e il Tempo).
Queste grandi campagne sono frequenti nel giornalismo italiano (e non solo), ma per funzionare hanno bisogno che l’editore garantisca ai direttori e ai giornalisti che le portano avanti un’ampia copertura legale. È relativamente facile infatti intimidire un giornalista lasciato solo: basta una causa civile per danni dovuti a una diffamazione a mezzo stampa in cui il “danneggiato” richiede un risarcimento spropositato. Anche se la richiesta di danni non ha fondamento (cioè, come si dice in gergo, è una “querela temeraria”), il giornalista dovrà comunque pagare un avvocato per affrontare il processo e rischia di vedersi sequestrati beni e stipendio in caso le cose vadano male, per esempio per una condanna non definitiva in primo grado.
Per questa ragione, gli editori offrono quasi sempre ampie protezioni ai loro giornalisti più esposti, mettendo da parte fondi e risorse per pagare le loro spese legali, difenderli con abili avvocati esperti di diritto dell’informazione e risarcire coloro che dovessero vincere le cause di diffamazione. A volte questa protezione viene messa per iscritto nei contratti di lavoro sotto forma di una “clausola di manleva”, che assolve giornalisti e direttori dalle eventuali conseguenze che potrebbe avere il loro lavoro.
De Gregorio racconta che il suo contratto non prevedeva una clausola di manleva, ma che questo è stato tutto sommato un problema secondario: nel 2017 un tribunale le ha riconosciuto la manleva da parte dell’editore anche senza che questa fosse esplicitamente espressa nel contratto; una decisione, racconta oggi De Gregorio, che potrebbe essere utile in futuro ad altri giornalisti che si trovassero in contrasto con il loro editore. Il problema è che giunti a quella decisione non c’era più un editore che potesse affrontare le spese di sua competenza.
De Gregorio lasciò l’Unità nel 2011 e tornò a Repubblica, dove da allora ha lavorato da collaboratrice autonoma, ragione per cui lo stipendio le viene pignorato in maniera pressoché completa e non solo per un massimo pari a un quinto del totale, come accade ai lavoratori dipendenti. Intanto la crisi dell’Unità, che aveva già iniziato a manifestarsi negli anni della direzione di De Gregorio, si fece sempre più grave e, di fronte alla decisione di Soru di non investire più nel giornale, nell’estate del 2014 il giornale entrò in concordato preventivo e cessò le pubblicazioni.
«Stefano Andrini, neonazista dichiarato, ha fatto sequestrare con la sua causa il mio conto corrente dove non ho più nulla se non i soldi per pagare le bollette di luce e gas», dice oggi De Gregorio con amarezza. «Berlusconi, Mori, Minzolini, Angelucci, e i nazisti tipo Andrini», continua ricordando gli autori delle cause che la riguardano: «Questi sono coloro che pretendono giustizia da me. È una guerra politica, non vogliono che tu scriva di loro e quindi ti fanno causa».
Per De Gregorio la legge deve essere cambiata affinché episodi simili non possano più ripetersi. In Europa, per esempio, è molto diffusa l’idea, del tutto assente in Italia, che le richieste danni per diffamazione debbano essere in qualche maniera parametrate al reddito del danneggiante, così da evitare che un piccolo blogger possa essere citato in giudizio per milioni di euro. «La tutela della libertà di informazione passa per la tutela del patrimonio di chi fa informazione», spiega De Gregorio, ricordando che quelli che sono a rischio non sono tanto i giornalisti che scrivono per i grandi quotidiani, che una protezione in qualche maniera riescono sempre a ottenerla, ma piuttosto i giornalisti dei piccoli giornali o di giornali in crisi e che rischiano di chiudere, i freelance, i blogger. Tutte figure che potrebbero essere condizionate dalla minaccia di “querele temerarie” come quelle che affronta De Gregorio.