CARMELO ALIBERTI
MICHELE PRISCO
un uomo e uno scrittore
nel buio della coscienza
Edizioni TERZO MILLENNIO 2018
Carmelo Aliberti compie una disamina esauriente dell’opera omnia di Michele Prisco da La provincia addormentata (1949) a Terre basse (1992), avvalendosi di un somma acribia che consente al lettore, nell’ottica di una giovevole estetica della ricezione, di conferire al narratore partenopeo il suggello che gli spetta nell’ambito della letteratura contemporanea.
Il volume coglie dapprima con oculatezza l’iter formativo, per soffermarsi poi sulla struttura narrativa e i temi cui sono improntati i singoli romanzi, includendo anche gli incontri con lo scrittore, un’acutissima riflessione sul romanzo italiano e infine uno squarcio emblematico della critica.
Si delinea così il volto inconfondibile di Michele Prisco che sin dagli esordi ha palesato la propria peculiarità controcorrente mentre era ancora in auge il neorealismo e mentre si sarebbe potuto ascriverlo al folto novero della letteratura meridionale. Il non voler indulgere a suggestioni transeunti e ai dettami di cenacoli propensi a strombazzate ideologiche gli ha consentito di librarsi al di sopra della mischia e di raggiungere le vette della perennità. Memore del retaggio della narrativa inglese ottocentesca, di James Joyce e di Pirandello, Michele Prisco ha quindi rielaborato la veste romanzesca mediante un’impostazione narrativa che consta di vari piani diegetici e di focalizzazioni intrecciate. L’ambientazione delle falde del Vesuvio, lungi dall’ammicco oleografico od arcadico, sta a significare l’osservazione meticolosa di un microcosmo sociale confrontato all’irruzione spesso devastante della modernità secolarizzata, donde scaturiscono i perni tematici dell’ignavia edonista, dell’alienazione consumistica, della violenza proteiforme, dell’incomunicabilità e del coma spirituale.
La dovizia linguistica delle opere di Prisco riveste in certo qual modo la valenza di sfida di fronte all’ineffabile ovvero lo scandaglio delle latebre della psiche che va di pari passo con lo kaleidoscopio della realtà oggettiva, l’estrinsecazione di «racconti epifanici» per riprendere le sue parole. Difatti, viene rivelato il viluppo dei sentimenti, ma rispetto alla stasi abulica permane inscalfibile un senso del dovere e del riscatto dal male per cui i personaggi anziché essere abbandonati al deturpamento morale, vengono proiettati in prospettive salvifiche sia pure infime.
In questo volume di notevole vaglia, Carmelo Aliberti si è cimentato in un lavoro certosino dall’esito oltremodo convincente per l’acume dell’analisi e per i numerosi addentellati interpretativi.
Jean Igor Ghidina