LA TUA STORIA
La tua storia è racchiusa
agli estremi di un filo che balugina
nelle ferite degli attriti
Al centro
nel cratere inconsapevole
la colonna stremata dei mortali
in marcia barcolla verso il sole
All’orizzonte
oltre le squame confuse del cielo
la nebbia il vortice il risucchio
VAGHIAMO
Vaghiamo
sulla ghiaia insanguinata
nella rete concentrica dell’aria
tra i fanali del sole
le piaghe del prato
la foglia che volteggia
immobile nel cielo
Qui la scorza scolora
L’agonia sfiora
il muto frastuono dei capelli
flotta nei solchi della carne
piluccata dal gelo e dall’arsura
Ed è tutto un fluttuare
di rottami e di idee
sul filo rattrappito del respiro
invisibile nel turbine del miele
VORRESTI BUCARE
Vorresti bucare
il guscio sigillato
di rassegnata conchiglia
e farti trascinare
nel gorgo delle zagare
ma il flutto ribolle
il fuoco essicca l’etere e le stelle
sull’orlo dell’anima
tu non respiri più
la vertigine sale
il male annulla
NEI LUOGHI COMUNI
Dislocate
nei luoghi comuni
della gioia e del malessere
sparpagliate
nelle stanze aperte all’ombra
e alle stagioni
insonni ardono
impalpabili quiete arroventate
guizzano verso meteore frizzanti
a linee rette
contorte stenebrate
tra evidenze di squarci e sedimenti Nelle trame segrete nei tumulti
preme alle porte il filo di un disegno
ansie infeconde strisciano
sulla buccia del giorno
nella giungla del mondo
deragliano le volute intellettive
cercano il senso delle cose
e le voci le voci dell’anima
precipitano in fondo
al labirinto al proscenio del buio
nel pozzo dei reclusi
nella luce divampante
del labbro della mente
di noi pollini prostrati
dal sole dal vento
dai fiotti del tormento
RASA AL SUOLO
Rasa al suolo
la gioia dell’infanzia
nelle acque del giorno si specchiano
rami sfrondati di teoremi
transitano slanci trasparenti
di matasse di luce
di ombra e d’aria
Le forme del vuoto i tegumenti
gli occhi sfibrati dal buio
sostano in pozze inesistenti
Le lame dell’incerto
screpolano polpe bucce segmenti
nello sfavillìo dei contorni inerti
Qui la strage infuria
strania forme
colori e movimenti
l’azzurro si fa immondo
le acque il fiele
sangue di uomini innocenti
E l’impasto
il gesto disfatto
la ragione le macerie il disastro
la morte la morte il regno
che cancella prigione e libertà
è forma certa
PARZIALE TOTALE
Parziale totale
fibre emergenti negli strappi
nei varchi della storia
fluttuano si scontrano
affondano nel raggio delle idee
a grumi a spicchi a briciole
bruciano ipotesi
nella brace dei minuti
quale margine
superstite allo squarcio non sappiamo
e lo strazio dell’uomo
di dio contro dio in voi s’eterna
Qui ritagliamo nuvole
sfioccate nel turchese
e nel circuito chiuso
nel mastice del plurimo
annaspa la fiocina del nulla
NEL CESPUGLIO DELLE LINEE
Impigliato nel cespuglio delle linee
che impastano immagini e ricordi
aspetto l’evento che rimargini
i frantumi del buio
la luce che scompagini
i segni levigati dell’estate
i rilievi del tempo il lampo
che vivifichi l’orografia dell’anima
accartocciata nella calma
impaziente della pelle
dei disegni verbali
sotto l’artiglio
del gesto della vertigine del niente
DIO DEL NULLA
Dio del nulla e del dolore
Dio dei poveri mio Dio
assistimi ti prego nel salire
i gradini dei buio
con l’involucro del male
con la pena del prossimo nel cuore
Premuto da convulse fantasie
ho percorso spirali intellettive
con la forza degli occhi
ho rischiato la fossa dei leoni
l’oasi di vetro l’ombra il massacro
ora nel deserto dell’anima
nella catabasi omogenea della carne
nell’incendio della storia e del futuro
assistimi ti prego a ritagliare
nella poltiglia del sangue e del pensiero
la vela la nuvola che salvi
la fuga a precipizio nell’azzurro
Dio del nulla e del dolore
Dio riemerso dal buio a intermittenze
nel delirio ingiusto dell’ingiusto
assistimi ti prego mentre sgrano
storie di pietà e di speranza
mentre incespico in altre ionosfere
e mi ostino ad attendere
ragno incollato al vetro dei perché
il tuo segnale il graffio che strappi
il geroglifico del giorno
il sapore del cielo e dell’inferno
e l’anima riacquisterà dolcezza
il mondo sconvolto la sua luce
IL TUO PASSO DI FIGLIO
(Premio Goldoni 1975)
In questa fuga di alberi e di case
percorsa dal furore che non muta
di foglie accartocciate
in fiocchi di tempo tra ferite
di acque rovesciate e gioia d’aria
In questo grido di passeri e di foglie
avvolte nel dolore della sera
tra doline di fiato e di pensieri
ascolto in volute di richiami
il tuo passo di figlio
dentro mete di albe e di colori
sconfinare nei flutti della terra
Sarai il pane della mia speranza
tra sismi smaltati e di sirene
risorte a tramutare cicatrici
in solchi di vita e di salvezza
Sarai il soffio del giorno che illumina
dalle fessure elastiche del tempo
È STATO UN ATTIMO
È stato un attimo
la voce di mio figlio
assiso nei sereni labirinti
del gioco e della gioia
richiama i tuoi pattini di sole
le tue albe ricamate di albe brucianti
di bimbi che rincorrono
barattoli di pane
di madri che galleggiano
anemiche nel vuoto
di volti che scavano ritorni
nel chiarore del giorno e della notte
di figli che invecchiano speranze
nell’ansia del volo e del futuro
é stato un attimo
mi sporgo al davanzale
già in Via dei Mirti alle ore nove
di questo esangue lunedì di luglio
risuonano i singulti di chi è solo
il Peone del Sud esiliato
e il pensionato ebbro di dolore
inseguono nel calice appannato
un sorso annegato di sorriso
una zolla tra i platani di sole
IL TUO RISVEGLIO
Il tuo risveglio il dolce incespicare
della voce in arabeschi di parole
a fiotti fioriti a definire
il senso evidente delle cose
mi desta dalla turpitudine sognata
mi scuote dalla pagina listata
dei segni negativi di Montale
Il vertice del cuore
si torce all’armonia delle tue labbra
inarcate ad arpeggiare nuovi suoni
ed io riemergo dal gorgo che si ostina
a passivarmi nella sua clessidra
risorgo nel flutto delle ciglia
che tesse e ritesse acqua opale
e scivolo nel delirio della luce
verso isole stellari
mi sento vivo nel botro del dolore
desidero parlarti dirti grazie
mentre la vertigine miete il limbo sale
AIAMOTOMEA (1986)
Aiamea che nell’urna del mattino
guardi il cardo impiumarsi di viola
dalle aeree balze del Peloro
sospese sull’abisso di ombre umide
solcate dall’ago del torrente
dove risuona assiduo
l’urlo di pecore sgozzate
dentro il concerto degli armenti
dove la lucertola si abbevera di sole
sulle elci riarse dell’estate
Motomea che oscilli nel mattino
alle correnti di Vico Molinella
dischiuso ai vagiti senescenti
di guerre quotidiane e di speranze
nelle oasi murate delle ore
dentro la cupola dei pini
in ascolto di stridule canzoni
di passeri e cicale,
padri e figli sui sentieri di Adamo
celebrarono sul ciglio dell’aurora
il rito alla Portella della Croce
ed era giubilo il gesto quotidiano
nel profluvio dei profumi e delle stelle
era pane il vento per le case
Generazioni di ciclopi-zaccaini
sciamarono verso le frastagliate geometrie
di Pizzo Sughero Colla e Salvatesta
dal Passo dei Lupi e Volta Ilice
con i fiori del bene nel bicchiere
e ritornarono nel sangue della sera
le api umane gravide di miele
agli alveari di Pizzo Garamante
dove una lucciola ancora illuminava
l’ultimo palpito l’ultima fatica
della mite Penelope al telaio
Nei secoli bui
anima passate a sbriciolare
febbri d’anima
nelle occidue sterpaglie del Bosco
sulle impronte della pura quiete
seppellirono nel silenzio delle sere
il soffio della parola innamorata
e la ninfa fuggita dal mare
arsa da furore clandestino
mostrò agli astri le labbra inviolate
nel golfo scintillante del tuo seno
Aiamotoaiamotomea
dove gli avi speranze profanate
irrorarono di vento
nella cruna di vita morte e amore
dove l’impronta del mio passo incerto
resiste ad ogni bava di memoria
dentro vele di farfalle iridescenti
tra frontiere di alloro e ficodindia
un groviglio di storie incenerite
si agita ancora nel respiro
che non vuole tradire la parola,
i nivei lini sulle lastre
profumati nei gorghi del Longano
di acque e cenere
sventolano ancora nei miei occhi
accecati dal tuo azzurro
Dal grembo anemico sgorgarono
nel diluvio dei mandorli fioriti
degli anni dilaniati
i sogni per l’isola sommersa
e nella morta stagione del rigurgito
all’esilio soave
si aggiunge un altro esilio
di agonia e di nulla
Aiamotoaiamotomea
agghindata di oro e di ginestre
ritrovo il tessuto delle felci
cosparse di sole e di aculei
che furono vergine sudario
per gli eroi della zolla trapassati
dal limbo senza cure del pagliaio
alla pietà del cielo
legati alla croce della scala
sorretta da spalle fedeli
e nella ghirlanda del turchese
percorso dal libeccio dell’infanzia
mi riavvolgo ai margini dei colli
agli aquiloni dispersi
nelle aride cerniere
che cullarono echi lacrimosi
di furori sereni e riscopro
intatte le reliquie del pensiero
levigato dai dubbi del tuo dio
Ora nell’arcipelago del giorno
tossiche infuriano
dentro i labirinti anonimi del vuoto
le fiamme invisibili del tempo
e sul viale delle margherite
risuonano sui pattini dei sogni
le voci di Elena e Daniele,
Peppi Ciaurri torturato dal sole
con le bertole ancora riaffiora
dal Paradiso perduto nella valle
alle necropoli dei vivi,
io con febbre antelucana
nelle onde del fiume colorate
ritorno a cercare
riverberi di cronaca e di mito
e nello sgomento celestino
innalzo questo grido di memorie
al vento della terra Aiamea
sconvolta dall’atomo demente
fino all’alba dell’ultimo mattino
Aiameamotoaiamea
nihi canunt sidera tua
la tua voce mi strazia di morte
la tua luce mi acceca di infinito
avvolta nell’afrore del basilico.
per la rubrica SFOGLI L’AUTORE
Monica Baulet