L’immagine che si ricava dalla poesia di Carmelo Aliberti,
ora chiusa in un denso ed esauriente volume, “Teorema di poesia” (Todariana editrice)
è una sorta di figura concreta del
poeta come vittima della storia.
Il simbolo tragico di questa storia il poeta l’assume su di sé, per interpretare il proprio tempo alla luce di alcune disaffezioni, mancanze, rinunce, debilitazioni umane: ma è un simbolo, ovviamente, della condizione umana, di una posizione storica dell’essere, all’interno di una problematicità del reale, non affrontata direttamente con strumenti di grido, di ribellione, di isterismo, ma con gli strumenti della poesia.
Nei versi di Aliberti, allora, troveremo ancora le immagini, le figurazioni, le voci e i gesti di un reale possibile, ma con segno rovesciato rispetto alla tradizionale misura con cui si affrontava il reale negli anni passati: Aliberti aderisce al reale, al mondo – nel caso specifico a una realtà meridionale, e siciliana in particolare – con la forza dell’immaginazione, dell’evocazione o dell’annotazione folgorante che si accosta alla sua vicenda dentro un microcosmo ferito, da cui poter estrarre non tanto materia di canto e di poesia, ma di riflessione e di sgomento, di insegnamento e d’analisi. La tipica facoltà del discorso poetico di inglobare in sé un’estrema condensazione semantica, affinché ogni significato, ogni verso, ogni parola aprano a una diversità, a una pluralità di significati, Aliberti la usa mediante il confronto storico, la tipica accensione immaginativa ed emotiva dell’uomo posto di fronte alle sue responsabilità pragmatiche.
Nell’insieme di queste due componenti, accentuazione della polisemia del verso e ricorso alla struttura del reale nelle sue ferite e crisi, pongono il lavoro di Aliberti dentro una modernità di discorso che ha nella tensione e nella sua specifica modulazione le qualità più profonde.
CONDIZIONE DELL’UOMO
Il teorema di poesia di cui Aliberti parla, e che da titolo alla raccolta, si potrebbe sviluppare entro questa duplice disposizione: discorso storico e proprietà linguistica. Si capirà allora quanto si diceva all’inizio, del poeta come vittima della storia, quando egli si fa voce rammemorante d’una condizione dell’uomo, ma con precise referenze grammaticali del discorso poetico.
Non più svenevoli annotazioni naturali, non più masochismo d’una condizione privilegiata, ma interprete della storia; una storia dura e lacerante, dentro cui la ricerca non è soltanto nel forgiare un discorso che non sia quello massificato o usurato dell’industria dei classici, ma un discorso legato alla vicenda umana nelle sue ferite, nelle sue mutilazioni, nel suo malessere.
Spesso il poeta soccombe, cade irretito in labili figurazioni protoromantiche e astratte, ma il segno d’una responsabilità storica lo richiama alla sua missione, fuori dai messaggi e dalle indicazioni precise ed esatte, quelle indicazioni che erano della categoria mentale del borghese, ma dentro un significato austero di vittima, di termine d’unione tra la parola e l’essere, tra la storia e l’uomo che la subisce o la fa con errore, o con inconsapevolezza.
Aliberti si guarda vivere, vive, ricorda, annota ciò che intorno viene sommerso, le proprietà e i valori dei suoi simili: ma lascia che la poesia fluisca dentro un verso tesissimo, concentrato, adatto – forse meglio dell’uomo che vive la propria vicenda senza chiederselo mai – “a cauterizzare le cesure.”
per la rubrica SFOGLI L’AUTORE